sabato 5 dicembre 2015

Mission: Impossible (1996) di Brian De Palma con Tom Cruise, Emmanuelle Beart, Jon Voight, Kristin Scott Thomas, Vanessa Redgave, Jean Reno, Ving Rhames.

Il logo del film.
La prima missione impossibile fatta film a seguito dell'omonima serie televisiva, con alla regia Brian De Palma e un cast di primo livello con stelle e caratteristi affermati.

La prima missione impossibile di Ethan Hunt, membro di una sezione della CIA specializzata proprio in queste missioni. Quando il team di Ethan in missione a Praga viene eliminato in tutti i suoi componenti, tutti i sospetti cadono proprio su Ethan unico sopravvissuto. L'agente segreto dovrà impegnarsi con tutte le sue capacità per sfuggire ai killer del governo, penetrare nei segretissimi archivi della CIA e persino aggrapparsi al tetto di un treno lanciato ad alta velocità per lasciarsi alle spalle i suoi inseguitori ed arrivare alla verità.

Una istantanea della "scena madre".
Il maestro Brian De Palma firma il primo episodio della saga.
Senza eccedere nella spettacolarizzazione, senza abbandonare i concetti a lui cari sia pur inevitabilmente accettando di concedersi al botteghino per una produzione come questa, De Palma realizza una pellicola che pur non essendo il top rispetto ad altre sue regie riesce ad essere convincente. Più nella forza recitativa del cast che non nella sceneggiatura.

E firmando di fatto il film con una "scena madre", facente parte di intarsi di ammirevole bravura attraverso i quali in passato il regista statunitense costruì la sua reputazione (si pensi in questo senso alla sequenza de Gli Intoccabili alla stazione).

La scena madre di Mission: Impossible è incentrata sull'agente Hunt che si introduce negli archivi segreti della CIA, calandosi dall'alto nella stanza dell'elaboratore centrale sospeso con dei cavi.
Con le riprese dall'alto in basso che lo fanno apparire come un inesorabile ragno che avanza lentamente verso la sua preda con la tela materializzata dal pavimento come sfondo, e dove sono silenzio assoluto, tempo rallentato e sottile tensione ad avere il sopravvento su tutto.

martedì 1 dicembre 2015

The Departed - Il bene e il male (2006) - di Martin Scorsese con Leonardo Di Caprio, Matt Damon, Jack Nicholson, Mark Wahlberg, Alec Baldwin, Martin Sheen, Vera Farmiga.

Un poster con la locandina del film
Martin Scorsese si misura con quell'universo criminale su cui il regista statunitense di origini italiane e cresciuto nella Little Italy di New York seppe costruire le sue fortune. in questa sua opera dove ancora una volta si avvale della performance di Leonardo Di Caprio, con cui ha costruito un sodalizio artistico e professionale.

Il film è un personalizzato remake sulla malavita irlandese di Boston, personificata dal boss Frank Costello (Jack Nicholson). Billy Costigan (Leonardo Di Caprio) è la talpa perfetta: recluta della polizia cresciuta nel crimine, sarà scelto per essere infiltrato nella gang di Costello con l'obiettivo di incastrarlo.

Ma nulla potrà andare secondo gli schemi....perché anche Costello ha la sua talpa insospettabile nella polizia....ma soprattutto perchè i personaggi, che abbiano il volto estemporaneo della legge o della criminalità, sono due facce della stessa medaglia che dicono, pensano ed agiscono con i medesimi meccanismi mentali. Chi è il vero colpevole in questa situazione? L'FBI....i gangster....tutto si mescola a tal punto da non poter essere più separato. Tradimento, doppio gioco, paranoia....il gioco sembra essere quello di tenere tutti contro tutti per uscirne come unico vincitore. Niente è come sembra...il tutto dipinto da Scorsese in un terreno a lui così congeniale dove riesce a raccontare storie di vita violenta dei bassifondi dove prevalgono la fisicità dei personaggi e le loro pulsioni autodistruttive, l'ironia dai risvolti inquietanti. Il male, la morte e il senso di colpa che pervadono la società vengono trascinati nell'America contemporanea con tutte le sue contraddizioni.

4 premi Oscar, un grande budget e un successo mondiale.

sabato 8 agosto 2015

I Guerrieri della Notte (1979) - di Walter Hill con Michael Beck, James Remar, David Patrick Kelly, Deborah Van Valkenburgh, Roger Hill, Debra Winger.

La metropolitana a Coney Island, zona dei "Guerrieri".
Una battaglia di gigantesche proporzioni sta per esplodere a New York.

Cyrus, capo carismatico dei Riffs prima gang della città, convoca un raduno con 9 rappresentanti per ogni gang esortandoli ad una tregua dalle quotidiane battaglie per la difesa dei territori.

Il suo piano è unire tutte le bande in un unico esercito composto da 60.000 soldati pronti a conquistare la città forti della superiorità numerica sulle forze di Polizia.

Ma ecco il colpo di scena: un membro violento e mentalmente disturbato partecipante al raduno, spara ferendo a morte Cyrus.

E' il caos: il raduno smobilita per la confusione che ne consegue, la Polizia interviene e dell'assassinio vengono ingiustamente accusati i Guerrieri, una band di variegati combattenti indossanti un giubbotto di pelle.

Da questo momento, i guerrieri verranno braccati da tutte le band della città e dalla Polizia, costretti a lottare per la sopravvivenza senza avere un attimo di tregua, lontani dal loro quartiere e in un ambiente totalmente ostile e pieno di animosità nei loro confronti.

Un film che diventò subito cult, una vicenda parossistica e notturna nella sub-cultura della guerra tra gang nella giungla urbana, un avventura contemporanea che fonde i classici western nero metropolitano e avventura, in una sintesi omerica sorretta da una coreografia rock plastica e violenta.

Il senso del surreale che si fonde con il realismo è eccezionale. I personaggi dei "Warriors" sono caratterizzati non nei dettagli delle loro vite ma, con ben maggiore rilevanza, nel come le loro personalità affrontano la situazione in cui si vengono a trovare.

Memorabili alcune scene di lotta, su tutte quella con i Punks nei bagni della metropolitana.

Tra le curiosità, è possibile vedere per una breve scena una giovanissima Debra Winger.

sabato 25 luglio 2015

Collateral (2004) - di Michael Mann con Tom Cruise, Jamie Foxx, Jada Pinkett Smith, Mark Ruffalo.

Logo del film.
Il regista Michael Mann.
Il visionario e barocco Michael Mann, maestro nel miscelare azione e atmosfera, straordinario nel raccontare il lato oscuro della personalità umana, si misura ancora una volta con un film nella “sua” Los Angeles, la città delle luci e dove la realtà si mescola con la fantasia come un cocktail dove alla fine è difficile distinguere i sapori.
 
E dove i sogni possono diventare realtà. O incubo, come quando una vita anonima che scorre senza particolari emozioni può trovarsi all’improvviso catapultata in un vortice di violenza.
 
E’ quello che succede a Max, tassista nella città degli Angeli, inguaribile sognatore ma senza risultati e impacciato quando si tratta di prendere una decisione o un’iniziativa.
 
Dopo una corsa dove conosce una affascinante procuratrice distrettuale che alla fine decide di donarle il suo numero di telefono, sul suo taxi sale Vincent. Un misterioso uomo dai modi affabili e decisi, che chiede di avere i servigi del tassista in esclusiva per una serie di appuntamenti nella città distribuiti nella notte.
Ma sono appuntamenti con la morte.
Cinque fermate, cinque omicidi e l'uscita di scena.
 
Sarà una notte che cambierà la loro vita per sempre.
 
 
"Collateral" è la storia dell’incontro fatale tra un anonimo tassista e un killer di professione.
Il taxi diventa il loro confessionale, il luogo dove le loro personalità si incontrano e dove raccontano se stessi.
 
Le tappe che compie il taxi sono l’incubo crescente per Max, dei lavori da eseguire con impeccabile freddezza e professionalità per Vincent. La banalità del male.
 
Sullo sfondo la città con le luci, gli effetti cromatici, i riflessi.
Tutto rigorosamente noir, come il film.
La downtown vista dall’alto, le zone industriali di periferia, le palme che disegnano i finestrini del taxi. Le creature della notte simbolo della natura che passa di lì per caso e incurante dei travagli interiori dell'uomo.

Una umanità disparata: dallo zelante ma umano detective Fanning agli agenti FBI alla caccia della spettacolarizzazione. Dalla mamma apprensiva dello sfortunato tassista ai loschi figuri che si illudono di un colpo facile nei vicoli della downtown.

Tutti trovano una loro naturale collocazione nella notte, in questa notte dove attraversare la strada quando il destino passa può essere fatale.
 

lunedì 6 luglio 2015

I Fiumi di Porpora (2000) - di Mathieu Kassovitz con Jean Reno, Vincent Cassel, Nadia Fares, Dominique Sanda.

"Noi siamo i padroni, noi siamo gli schiavi...siamo dovunque e in nessun luogo...siamo gli architetti dei Fiumi di Porpora"
(slogan del film)

Nelle alpi francesi, in una piccola cittadina di nome Guernon, viene rinvenuto sulla parete di un monte il cadavere di un uomo.
E' stato mutilato e torturato scientificamente, e tenuto in vita per ore con agghiacciante intenzionalità.

In parallelo, nel paese limitrofo di Sarzac viene profanata la tomba di una bambina morta dieci anni prima in un incidente stradale.

Il primo caso vede arrivare sul posto il poliziotto Pierre Niemans (Jean Reno), mentre sul secondo caso indaga il più giovane poliziotto Max Kerkerian (Vincent Cassel).


Jean Reno.
Vincent Cassel.
Ben presto le due inchieste finiscono su una strada comune che verrà percorsa da entrambi gli ispettori. La verità si scoprirà inconfessabile.....la chiave del mistero sembra essere tra i ghiacci delle Alpi.

Il film contiene molti temi di attualità in svariati tempi della storia. Clonazione ed eugenetica si mescolano con neo-nazismo e skinheads, ma nulla viene veramente approfondito. C'è una critica sociale altrettanto vagamente indirizzata, tutto questo resta solamente uno sfondo.

Se si prendono anche le figure dei due poliziotti protagonisti della storia, permane altrettanta vaghezza nella loro caratterizzazione: quando il film termina si sa di loro due e della loro personalità davvero poco di più di quanto si sapeva all'inizio. Convenzionalmente si potrebbe dire che Jean Reno è quello più esperto, meno impulsivo e più riflessivo, Vincent Cassel l'esatto contrario di tutto questo.

A noi sembra che Kassovitz si ispiri, con un risultato naturalmente non all'altezza delle intenzioni, in particolare al Seven di David Fincher, con i due poliziotti Morgan Freeman e Brad Pitt a caccia del serial killer ispirato dai sette peccati capitali.
Sono molti i punti di contatto (i due poliziotti diametralmente opposti che si trovano a lavorare insieme, il contrasto tra sacro e profano, l'efferatezza dei delitti, le atmosfere oscure, l'ambiente ostile e la diffidenza in cui i poliziotti devono muoversi, l'aguzzino che risparmia i poliziotti che lo braccano quando si trova faccia a faccia con loro, il male che resta invisibile fino alla fine) ma francamente la differenza nel risultato è notevole.

I Fiumi di Porpora non è ne brutto ne noioso, intendiamoci. Ma fallisce quando ha l'ambizione di diventare un classico del genere, soprattutto perché debolissimo nel descrivere umanamente i due protagonisti e nel fare identificare il pubblico con loro nel bene e nel male, riconoscendo nelle loro contraddizioni le proprie contraddizioni. Così come con i personaggi di Freeman e Pitt in Seven.

domenica 14 giugno 2015

Independence Day (1996) - di Roland Emmerich con Will Smith, Jeff Goldblum, Bill Pullman, Mary McDonnell, Randy Quaid, Robert Loggia, Adam Baldwin.

Un poster pubblicitario del film.
Il racconto di una ipotetica quasi riuscita invasione della Terra da parte di forze aliene giunte con delle astronavi dalle pazzesche dimensioni di circa 500 Km. di diametro.

Gli eventi si susseguono nei giorni dal 2 al 4 Luglio 1996. Gli alieni distruggono, con una sorta di "raggio della morte" utilizzando i satelliti terrestri, tutti i più grandi centri abitati della Terra posizionandosi al di sopra di ciascuna città con le loro astronavi. Vengono distrutti edifici-simbolo come la Casa Bianca e l'Empire State Building, stesso destino tocca a Los Angeles, Mosca e tante altre città europee.

Il Presidente degli Stati Uniti riesce a fuggire con l'aereo presidenziale prima di venire travolto dalla marea di fuoco e fiamme; la Terra è nel caos e ben presto, quando si riesce faticosamente a organizzare una prima controffensiva con l'aviazione statunitense ci si rende conto che le astronavi aliene sono protette da uno scudo deflettore che respinge tutti gli attacchi.

Saranno l'ostinato e coraggioso capitano dell'aviazione Steve Hiller (Will Smith) e l'hacker David Levinson (Jeff Goldblum)  gli elementi-chiave per sconfiggere gli alieni e assicurare la continuità alla razza umana.

Film versione moderna del genere "catastrofico", ma senza una vera forza nel racconto. L'unica forza di occasione che è presente, forza oggi più che mai obsoleta rispetto a 20 anni fa, è quella della retorica in una delle sue versioni più stucchevoli. Quasi uno spot elettorale che non può più fare presa su spettatori un minimo sofisticati e un minimo consapevoli di quello che l'industria cinematografica americana ha spesso venduto al proprio pubblico.

Gli alieni (ovviamente dall'aspetto mostruoso e privi di empatia) sono descritti come tecnologicamente molto più avanzati rispetto agli umani: eppure vengono sconfitti tramite l'innesto di un banale virus da computer.
Ma non è questo l'aspetto importante, o meglio non è questo l'elemento di vero disturbo che si può avvertire guardando il film oggi.

La cosa che dà fastidio è la solita netta distinzione tra bene e male fatta per enfatizzare parole gesti e azioni compiute dai buoni....d'altronde più che mai in questo caso essendoci da salvare il mondo gli Stati Uniti devono essere sempre in prima fila.

La cosa stucchevole è quel falso moralismo, quella esaltazione dello spirito nazionalista da quattro soldi, quella esibizione di purezza interiore, quell'ostentazione di commoventi quadretti familiari, quel destino che tra lutti e insuccessi sembra accanirsi verso i protagonisti ma che viene solamente usato come molla per dare ancora maggiore risalto al successo che ne conseguirà (opportunamente proprio nell'anniversario dell'Indipendenza...), quell'eroismo a volte spaccone e scanzonato e a volte foderato di buoni sentimenti, quei bei discorsi di chiamata mondiale alle armi contro gli invasori per infiammare gli animi e tenere il morale alto....ma che sfociano in una banalità assoluta. Perlomeno, come dicevamo, verso lo spettatore un po' arguto e che conosce ormai a memoria i metodi usati dalla propaganda americana quando decide di mettersi in moto.

Un film dai robusti effetti speciali e girato come fosse un enorme spot, enorme successo al botteghino vista anche la mastodontica pubblicità che lo precedette. Ma che soprattutto oggi ci fa apparire ancora più senza senso e sbiadito quel copione trito e ritrito che deve esaltare i gendarmi del mondo, già ampiamente utilizzato in tante produzioni USA per allontanare dalla gente lo spirito critico, per giustificare crimini dietro termini come "sicurezza nazionale" e per accogliere con benevolenza non gli atti di difesa verso invasori ma gli attacchi verso paesi sovrani che anche dopo il 1996 non sono mancati.

Comunque un bravo a Will Smith e Jeff Goldblum.

sabato 13 giugno 2015

Scarface (1983) - di Brian De Palma con Al Pacino, Michelle Pfeiffer, Robert Loggia, Mary Elisabeth Mastrantonio, Steven Bauer, F.Murray Abraham

"The World is Yours....", logo.
 

Altro magistrale film-cult diretto dal maestro Brian De Palma.

Cuba, 1980. Tony Montana è uno dei tanti cubani anticastristi espulsi da Cuba per volere di Fidel Castro e riparati in Florida (USA).
Viene dai bassifondi e ha una smaccata propensione alla delinquenza unita ad una feroce ambizione.
Da rifugiato cubano diventerà a Miami boss indiscusso del narcotraffico.

Il film vive di luce propria grazie all'esibizione del potere, dell'eccesso, della violenza e della morte. E dalla straordinaria intensità fino all'ultima sequenza. Ma soprattutto il film ha il volto di uno straordinario Al Pacino (Tony), interprete istintivamente portato ad enfatizzare la propria straordinaria carica imponendo il suo carisma scenico e la sua perfetta tecnica recitativa.

L'escalation di intensità non conosce tregua, e cresce sempre più in accompagnamento all'ascesa al potere di Tony Montana. E' una pazzesca esplosione di energia che disorienta e convince. E' uno spaccato malavitoso dell'America anni '80 soggiogata dalla cocaina, una analisi introspettiva del mondo latino a Miami. Ma la spontanea attrazione dello spettatore verso Tony, il suo essere dalla sua parte per quel modo di essere un pò buono e un pò cattivo, è un qualcosa di altrettanto istintivo e spontaneo.

E poi, graduatamente, il tono sempre più crepuscolare. Il cerchio che lentamente si stringe. Il boss della cocaina nella sua scrivania, circondato dalla bianca polvere e dagli eccessi del mondo che si è costruito, consapevole che quello stesso mondo gli sta ormai per presentare il conto.

Tony Montana macchina da guerra.
Quindi Tony Montana prepara la sua uscita di scena. A modo suo. Si trasforma in una macchina da guerra, solo contro tutti. L'ultima epica battaglia avrà il suo drammatico e spettacolare epilogo.

Con la sceneggiatura di Oliver Stone e le musiche di Giorgio Moroder, un film che resta impresso nella memoria. Un'icona del genere. Ma esiste qualche folle cinefilo che ancora non lo ha visto?

domenica 7 giugno 2015

Will Hunting - Genio ribelle (1998) - di Gus Van Sant con Matt Damon, Robin Williams, Minnie Driver, Stellan Skarsgard, Ben Affleck.

Will Hunting - Genio ribelle è un grande e commovente racconto di formazione diretto con forza e semplicità da Gus Van Sant.

A Boston un giovane ragazzo, Will Hunting (Matt Damon) fa le pulizie all'Istituto di Tecnologia. E' iracondo, rissoso, bullo. Ma è un pazzesco genio matematico. Un professore lo nota e lo manda da un amico psicanalista (Robin Williams) per vedere se è possibile toglierlo dalla strada e permettergli di inserirsi nel sistema sfruttando le sue immense potenzialità.

Matt Damon.
Vincitrice di un Oscar per la sceneggiatura, il film è la storia dell'irriducibile diversità di un ragazzo geniale che trova nel psicanalista Sean, uomo dal passato complesso e doloroso, il suo collegamento con il presente e con la società verso la quale egli si sente un incluso-escluso.

Will è infatti un ragazzo con difficoltà relazionali che il suo genio acuisce. La sua straordinaria memoria fotografica, il suo genio matematico che gli permette di risolvere problemi in pochi minuti sui quali gli studenti si applicano per anni senza riuscire, la sua capacità dialettica con grande spessore culturale disorienta tutti i suoi coetanei tranne lo sparuto gruppetto di amici che lo conoscono bene e riescono ad instaurare con lui un rapporto paritario.

Seduta dopo seduta, Sean riuscirà ad aprire una breccia nella corazza d'acciaio del ragazzo scoprendone le inconfessabili fragilità, e rendendosi sorprendentemente conto di quanto questo incontro permetta anche a lui di dare voce al proprio mondo interiore e ad avvicinare il suo passato al suo presente. I due provengono dallo stesso ambiente, hanno alle spalle dolorose storie familiari e dopo le titubanze iniziali riescono ad instaurare un rapporto sincero e proficuo.

Alla fine Sean si impegnerà persino a proteggere il ragazzo dall'ira e dal senso di frustrazione del professore che si vede fare beffe da Will per i colloqui di lavoro che gli procura e che lui rifiuta arrivando a mandare i suoi amici al suo posto e che si vede addirittura superato nel suo campo per i progressi compiuti dal ragazzo.

Un film intelligente e attento alle psicologie dei personaggi, eccellente nel focalizzare quanto possa essere impresa improba il mettere assieme le regole della società con interpreti dall'intelligenza superiore e che esercitano l'anti-banalità come ragione d'essere.



giovedì 4 giugno 2015

Charlie Chan, la saggezza orientale nei gialli anni 30.

Charlie Chan, i nostalgici come me non mancano di ricordarlo, è un pezzo di storia del Cinema.

Il serafico e inesorabile ispettore della polizia di Honolulu, con una pazzesca lista di 14 figli che, in particolare il primogenito, spesso lo accompagnano nelle sue avventure. Dotato di saggezza, pazienza e humour, trovò l'ispirazione per la sua figura dai romanzi di Earl Derr Biggers.

Sedici film dal 1931 al 1937 (quattro dei quali andati persi). Titoli come "L'ora che uccide", "Il Terrore del Circo", "Charlie Chan a Reno", "Charlie Chan e la città al buio", "Charlie Chan e il pugnale scomparso", "Charlie Chan e il delitto a New York"....film gialli nel significato più puro di questo genere cinematografico da tempo in disuso in quanto il giallo non è più solo giallo ma è thriller.

Ma, come detto, film non privi di un filo ironico a volte sottile e a volte più marcato.
Film con un omicidio e tanti indiziati. Sarà sempre la metodocità, la cortesia, l'umiltà, la pazienza e la fermezza del detective orientale, nativo della Cina ma ben presto stabilitosi con la famiglia alle Hawaii, che smaschererà il colpevole al primo passo falso.

Warner Oland.
Sidney Toler.













E' indescrivibile vedere oggi questi film. In profondo bianco e nero ma con una fotografia più che nitida, che hanno quel sapore di cinema pulito, di altri tempi, poggiato solo sulla forza del racconto e dell'indagine investigativa, sull'abilità recitativa. Senza effetti speciali e senza la malizia che oggi contraddistingue tanti titoli alla ricerca costante del sensazionalismo.


Gli interpreti più noti dei film di Charlie Chan sono stati Warner Oland (1880-1938) e Sidney Toler (1874-1947).

Con tutto il cuore e con un velo di malinconia rendo omaggio a questo genere, questi attori e questi film che hanno accompagnato la mia infanzia cinematografica per tante domeniche mattina sulla Rai.

martedì 2 giugno 2015

Carlito's Way (1993) - di Brian de Palma con Al Pacino, Sean Penn, Penelope Ann Miller, John Leguizamo, Viggo Mortensen.

Girato dal maestro Brian de Palma, barocco e visionario come Michael Mann, Carlito's Way è un noir avvincente e anticonvenzionale nella scansione ritmica e nell'anomalia esistenziale dei protagonisti: immensi Al Pacino e Sean Penn.


Al Pacino (Carlito Brigante).
Carlito (Al Pacino) è una leggenda nella Harlem ispana di New York. Dopo essere stato condannato a 30 anni ed averne scontato solo 5 grazie ai magheggi del suo amico e avvocato di origine ebrea Kleinfeld (Sean Penn), scopre che il suo quartiere è cambiato al punto da non andargli più bene. Culla un sogno, che sa di poter concretizzare solo finchè gli restano intatti l'onore e la vita: cambiare aria andando in un posto esotico e guadagnandosi da vivere onestamente facendo l'autotrasportatore e portando con se la bella Gail (Penelope Ann Miller), il suo grande Amore prima della detenzione e che ritrova dopo averla lasciata.

A Carlito mancano i soldi, ma riesce a racimolarne una parte uscendo illeso grazie alla sua astuzia da uno scontro a fuoco dove un suo giovane e ingenuo cugino che fa il corriere per lo spacco di cocaina viene ucciso. Per il resto, il suggerimento arriva da Kleinfeld; prima con i guadagni di un locale notturno da loro gestito e poi con un favore verso l'avvocato che consentirà a Carlito di saldare il debito in essere. Ma la faccenda si complicherà a seguito di un drammatico colpo di scena.

Carlito è un uomo di principi, cui la vita sembra voler dare una seconda chance. Che si rivelerà molto difficile da concretizzare: lui cerca di allontanarsi dalla strada, ma implacabilmente la strada lo ributta dentro.

Naturalmente questi sono i presupposti perfetti per proporre un genere cinematografico di crescente drammaticità come il gangster-movie, come preveggenza dell'incontro del personaggio principale con un destino fatale. Egli non si pone al pubblico come personaggio negativo, pur con un turbolento passato. Anzi, ha molti tratti similari alla "superiorità" dell'eroe nobile rispetto agli uomini comuni, e si muove in modo tanto programmatico e con modi così manierati da spingere lo spettatore a idealizzarlo e tifare per lui, auspicando in una sua vittoria nella necessaria battaglia per sfuggire ad un destino criminale.

Come dicevamo, Al Pacino e Sean Penn in stato di grazia. E come dicevamo, ad un certo momento il colpo di scena. Che legherà a doppio filo le loro vite, e che determinerà un effetto-domino nel susseguirsi degli avvenimenti, fino agli ultimi 20 minuti da antologia e densi di pathos, degna conclusione di una battaglia combattuta fino all'ultimo secondo.

Mery per sempre (1989) - di Marco Risi con Michele Placido, Claudio Amendola, Francesco Benigno, Tony Sperandeo.

Con questo film, Marco Risi inaugurò la nascita di una nuova attenzione del cinema italiano verso il realismo di denuncia.

"Mery per sempre" è un duro ritratto della vita all'interno del riformatorio minorile "Malaspina" di Palermo. Una spietata e cruenta fotografia delle condizioni di vita, del clima di sopraffazione dove vive la legge del più forte, delle tormentate vite di ragazzi la cui fanciullezza è stata stroncata da una vita che li ha resi già disillusi e naturalmente propensi alla violenza e alla delinquenza.

In questo contesto trova sua naturale collocazione la figura del professor Terzi (Michele Placido) che accetta un ruolo apparentemente degradante per un insegnante: non per lui, che vuole percepire di persona la degradazione ambientale dell' "università della violenza". Ma non solo egli troverà tutte le conferme che si aspettava: capirà che gli agenti di custodia, servitori dello Stato incaricati di reprimere la violenza, saranno proprio coloro che,come prassi quotidiana commetteranno analoga violenza verso i ragazzi che dovrebbero riabilitare.
Una scena del film all'interno dell'Istituto: in primo piano Tony Sperandeo.
Quella del professor Terzi è quindi la figura chiave attorno alla quale ruoteranno le vicende dei ragazzi e dell'istituto. Con il carattere intenso e viscerale proprio del Michele Placido entrato nel cuore degli italiani ne "La Piovra" nelle vesti del commissario Cattani, con una recitazione capace anche di toni dimessi, la sua sarà una lotta disperata e apparentemente senza speranza nel tentativo di risvegliare le coscienze dei ragazzi che hanno ormai interiorizzato la mentalità mafiosa con il fatalismo di chi sa che ogni altra strada nella vita gli è preclusa.

Rozzi, incolti, depravati, irrispettosi e violenti; cicatrici, sguardi spenti e vestiti miseri: tutti subordinati a Natale (Francesco Benigno), il "maschio dominante" dei minorenni e colui che materializzerà brutalmente la violenza e il crudo modo di essere davanti al professor Terzi il "democratico". Questo confronto ravvicinato tra educatore e vita perduta si materializza in questo drammatico colloquio:

Prof. Terzi (rivolto alla classe e con la mano poggiata sulla cartina della Sicilia):
"Questa è terra vostra...ed è anche terra mia....un'isola così bella....gli antichi dicevano che qui il sole aveva la sua casa. Ed era anche una terra ricca di foreste, di fiumi, di.....Antonio, tu li conosci i fiumi della Sicilia? Puoi venire qui? Dai, leggi ad alta voce".

Antonio legge dalla cartina i fiumi della Sicilia: Alcantara, Simeto, Anapo.....nel frattempo Terzi si siede sopra la scrivania, al suo fianco Natale che inizia a pasticciargli le braccia con un pennarello.

"Perché ti sei fermato? Vai avanti, Antonio...."

Natale continua a pasticciare le braccia di Terzi che lo lascia fare, e nel frattempo si rivolge a Mery:

"Mery...hai sentito quello che ha detto Antonio? Allora, secondo te la Sicilia è una terra ricca di fiumi?". Mery annuisce..."si, è ricca...".

Prof. Terzi, con Natale che in piedi inizia a pasticciargli il collo e l'altro braccio:
"Lo era...tanti anni fa l'uomo ha distrutto le foreste e allora l'acqua....come dire, quasi per paura si è andata a nascondere nelle viscere della Terra....e allora ci sono voluti i pozzi per tirare fuori l'acqua. E di chi sono questi pozzi?

Terzi chiede ai ragazzi dove abitano, e se da loro c'è l'acqua: nella migliore delle ipotesi, l'acqua è razionata.

In ultimo Terzi si rivolge a Natale che continua a pasticciarlo sul volto e infine sulla bocca.

"Natale, ci sta l'acqua a casa tua? Non c'è, vero...? E lo sai perché non c'è? Lo sapete perché non c'è l'acqua? Perché in Sicilia c'è la mafia. E la mafia, negli anni, attraverso l'acqua ha stabilito il suo dominio sulle campagne. E in nome dell'acqua ha ricattato, ha derubato, ha ucciso contadini, pastori, povera gente. I vostri padri. I vostri nonni. E poi sapete cosa ha fatto? Ha riempito quest'isola di cemento, ci ha costruito dei quartieri senza alberi, dei quartieri per voi. Il CEP, lo Zenno, Borgonuovo....ma quel che è peggio, vi ha modificato qui dentro, nella testa....ecco perché tu adesso trovi giusto che Claudio sia punito...ecco perché ti credi più forte di me....ecco perché credi facendo questo di umiliarmi davanti ai tuoi compagni....(Terzi afferra la mano di Natale che brandisce il pennarello)....ma tu non sei più forte di me...no....tu lo sai cosa sei? Tu sei soltanto più vigliacco....perché ci vuole più coraggio ad essere un sette carati con un padre ammazzato ed un fratello in prigione che essere uno come te."

(Terzi esce dall'aula. Silenzio. Natale scosso e a capo chino).


La sincera attenzione che il professor Terzi dimostrerà verso i ragazzi e le loro vicende personali riuscirà a fare breccia in ognuno di loro: la morte di uno di loro, Pietro (Claudio Amendola) che cercherà il professore dal suo letto di ospedale prima di morire davanti a lui in un ultima disperata richiesta di aiuto, porterà Terzi nell'istituto nel cuore della notte, probabilmente l'unica persona capace di stare in mezzo ai ragazzi ancora più esasperati dall'inasprimento delle restrizioni nei loro confronti, e probabilmente l'unico capace di fronteggiare da solo il branco uscendone in quel momento vivo.

Film rimproverato da alcuni suoi critici per una visione a loro dire eccessivamente pessimistica della vita, ha in realtà saputo offrire uno spaccato realistico delle cosiddette "vite perdute" del profondo sud, non carnefici ma vittime di un sistema iniquo e crudele che li spinge verso l'autodistruzione.

Il film ha un sequel, Ragazzi fuori, girato l'anno successivo e che ripercorre le vite dei ragazzi una volta usciti dall'istituto.

lunedì 1 giugno 2015

Affari sporchi (1990) - di Mike Figgis con Richard Gere, Andy Garcia, Laurie Metcalf, Nancy Travis, Annabella Sciorra, William Baldwin.

Il regista Mike Figgis.
Mike Figgis, regista inglese a suo agio nel disegnare atmosfere morbose e drammatiche, propone in questo film un anomalo scontro poliziotto-poliziotto.
Da una parte un poliziotto corrotto e perverso, Dennis Peck, che rivela un lato tenero e vulnerabile con i figli (Richard Gere).
Dall'altra un agente della commissione Disciplinare (Raymond Avila, interpretato da Andy Garcia) che indaga su di lui, con l'aiuto di Amy Wallace, una spiccia e determinata poliziotta (Laurie Metcalf).
E' uno scontro che ben presto diventerà ragione d'essere per Raymond Avila. Il suo ex compagno d'accademia Van Stretch (William Baldwin), fragile e volubile poliziotto alle prese con problemi coniugali, si rivelerà ben presto essere una semplice pedina nelle mani di Peck. Ma è quest'ultimo, implacabile donnaiolo e seduttore, ricilatore di denaro, organizzatore di truffe e in grado anche di commissionare omicidi, che minerà la vita, il matrimonio e persino l'equilibrio mentale di Avila.

Figgis, ex militante di un gruppo rock, utilizzerà questa sua esperienza per musicare diversi suoi film, tra cui anche questo riuscito noir/poliziesco.
A sorpresa si può ammirare per qualche istante l' Elijah Wood bambino, futuro attore di successo.

domenica 10 maggio 2015

JFK Un caso ancora aperto (1991) - di Oliver Stone con Kevin Costner, Tommy Lee Jones, Kevin Bacon, Gary Oldman, Joe Pesci, Sissi Spacek, Michael Rooker, Donald Sutherland.

JFK sulla limousine presidenziale.
JFK, una grande pellicola di Oliver Stone sull'omicidio accaduto di fronte a tutto il mondo e il mistero che ancora lo avvolge. Uno straordinario esempio di cinema civile che brilla per la potenza del racconto, la precisione della ricostruzione storica e il sapiente collage di materiale originale (colore, b/n e video) che si materializza in un montaggio perfetto. Tutto questo, oltre al meritato successo, al plauso della critica e ai meritati premi, ha generato un dibattito nazionale che ha portato nel 1992 alla Divulgazione degli Atti e dei Materiali Istruttori relativi all'assassinio.
Il racconto è elaborato dal punto di vista di Jim Garrison, al tempo procuratore distrettuale di New Orleans e che riuscì, caso unico e quindi fatto storico, a portare in tribunale il "caso Kennedy" evidenziando la teoria del complotto interno.
22 Novembre 1963: l'omicidio di Kennedy a Dallas sconvolge l'America e il mondo. Garrison viene a sapere che Lee Harvey Oswald, incriminato per l'omicidio del presidente, aveva frequentato per diversi periodi proprio la città di New Orleans e svolge delle indagini preliminari per verificare le amicizie di Oswald. Una di queste sembra David Ferrie, un eccentrico e ambiguo pilota di aerei privati che non convince il procuratore con la sua deposizione. Ma pochi giorni dopo anche Oswald viene assassinato da Jack Ruby, altro singolare personaggio legato ad ambienti loschi a Dallas, e le indagini fatalmente si interrompono.
Circa tre anni dopo Jim Garrison ha una conversazione in aereo con un senatore che gli evidenzia le contraddizioni e la superficialità della Commissione Warren (che emise rapporto ufficiale sull'inchiesta stabilendo che Lee Harvey Oswald fu l'unico attentatore). Garrison a questo punto decide di leggere tutti i volumi redatti dalla Commissione, non mancando di rilevare delle inimmaginabili superficialità e lacune.
Coinvolgendo tutto il suo staff, Garrison decide di interrogare diversi personaggi vicini a Oswald e Ferrie. Un indizio dopo l'altro convincerà il procuratore, che finisce con il trascurare la propria famiglia completamente immerso nel caso, quanto sia impossibile che Oswald abbia agito da solo ma che invece esistano chiaramente delle connivenze con le Istituzioni, lo Stato Maggiore delle Forze Armate, la mafia, la CIA e l'FBI.
Sul procuratore cominciano a piovere avvertimenti e minacce: anche alcuni membri del suo staff ritenuti più malleabili subiscono delle pressioni per abbandonare le indagini. Ma Garrison è ostinato e deciso a scoprire la verità: riceve una ulteriore e decisiva spinta a seguito di un drammatico colloquio con "X", l'ex capo dimissionario delle operazioni in nero ("Black Ops"):

X:  "[...] tutto quello che sto per dirle è classificato Top Secret. Io ero un soldato, signor Garrison. 2 guerre. Ero uno di quei personaggi del Pentagono che forniscono materiale militare, aeroplani, munizioni, fucili...per tutto ciò che viene chiamato operazioni in nero o "Black Ops: attentati, colpi di stato, elezioni truccate, propaganda, guerra psicologica e così via. [...] mi chiesi perché avessero mandato me, il capo delle operazioni speciali, a fare un lavoro laggiù al Polo che chiunque altro avrebbe potuto fare. Mi chiesi se non fosse perché, se fossi rimasto a Washington, uno dei miei compiti sarebbe stato organizzare i servizi segreti in Texas e decisi di controllare. E infatti scoprii che qualcuno aveva detto al 112° Gruppo di Spionaggio Militare a Fort Sam Houston di smobilitare quel giorno (22 Novembre 1963, ndr) malgrado le proteste del Colonnello Reich, comandante del reparto. La procedura standard prevede, soprattutto in una città ostile come Dallas, il rinforzo del Servizio Segreto. Noi non avremmo permesso la rimozione della cappotta della limousine, e avremmo sucuramente dislocato almeno 100-200 agenti sul marciapiede. Solo un mese prima, a Dallas, avevano sputato all'ambasciatore all'ONU A.Stevenson. C'erano già stati attentati contro De Gaulle in Francia. Noi saremmo arrivati a Dallas in anticipo, avremmo studiato il percorso, ispezionato gli edifici. Non ci sarebbero state tante finestre spalancate su Dealey Plaza, mai! Avremmo appostato i nostri cecchini in tutta la zona, ogni finestra aperta sarebbe stata segnalata. Avremmo controllato la folla: niente pacchi o giornali arrotolati e soprabiti sul braccio. Non avremmo permesso a nessuno di aprire un ombrello, né alla limousine di rallentare fino a 16 Km/h né tantomeno di prendere quella curva tra Houston e Elm Street. Si sarebbe sentita la presenza dell'esercito per le strade quel giorno. Ma è andata diversamente: vennero violate le più fondamentali regole precauzionali che abbiamo e questa è la migliore indicazione che ci fu un massiccio complotto a Dallas. [...].

X, inoltre, evidenziò a Garrison di come l'industria bellica americana poteva proliferare solo con la guerra, e lo stato maggiore delle Forze Armate era già consapevole che Kennedy volesse interrompere la guerra in Vietnam e organizzare il rientro delle truppe.

Da questo momento la battaglia di Garrison entrò nel vivo: venne incriminato Clay Show, uomo d'affari di New Orleans sospettato di essere coinvolto nella macchina organizzativa dell'attentato.

Un film appassionante e con un ritmo incalzante e coinvolgente. La Storia scritta nuovamente, forse non meno amara dell'originale ma non più contenuta nelle fredde parole di un rapporto: consegnata invece al popolo, perché sappia tenere sempre alta l'attenzione verso lo strapotere dei governi.


domenica 5 aprile 2015

Poliziotti (1995) - di Giulio Base con Claudio Amendola, Kim Rossi Stuart, Michele Placido, Nadia Fares, Stefania Rocca, Luigi Diberti.

Torino, piazza San Carlo di notte. Altra protagonista del film.
Tratto da un fatto di cronaca degli anni '70 rivissuto nella Torino degli anni '90.
Lorenzo (Claudio Amendola) è un agente dell'antidroga dai metodi decisamente spicci e fuori ordinanza che gli hanno procurato un trasferimento a Torino dove deve sorvegliare un detenuto, Sante Carella (Michele Placido), in ospedale per un tentativo di suicidio. Qui conosce e fa coppia in servizio con Andrea (Kim Rossi Stuart), un ragazzo dolce e malinconico reduce da una delusione amorosa. Durante un turno di guardia, con Lorenzo assente per regolare un conto personale, Andrea si lascia convincere da Sante ad accompagnarlo all'esterno per vedere la sua donna, Stella (Nadia Fares). Sarà un ben riuscito inganno che porterà delle devastanti conseguenze....
Giulio Base dirige ottimamente un cast di attori italiani di prim'ordine, riuscendo a contenere lo straordinario carisma di Michele Placido salvaguardando così la sua autonomia di regista e valorizzando al massimo le performance di Claudio Amendola, competamente a suo agio come poliziotto da strada un po' sopra le righe, e di un Kim Rossi Stuart convincente nella sua parte di ragazzo un po' problematico e vittima della propria bontà d'animo.
Una produzione italiana, quindi, ma un film influenzato da modelli americani e attraversato da un ritmo narrativo insolito per il panorama italiano.
La scena di Sante che si vendica verso "l'infame che lo ha venduto...." sembra richiamare De Niro in "Heat - La Sfida" (pure del 1995) quando De Niro va a vendicarsi del riciclatore Van Zent. Ed è costante e ben congegnato il mischiare azione e atmosfere, che raggiunge il suo apice dopo la drammatica sequenza al rallentatore, da antologia, del dramma personale di Andrea.
Senza trascurare l'introspezione dei singoli personaggi e le loro passioni, speranze, battaglie personali, vendette e frustrazioni, il film riesce ad avere nella sua parte finale un ritmo incalzante e "compresso", che contrasta con i ritmi più compassati e dilatati normalmente proposti in produzioni del genere. Una Torino di notte magica e avvolgente è una cornice perfetta, spettacolare e drammatica.

sabato 7 marzo 2015

Le ali della libertà (1994) - di Frank Darabont con Tim Robbins, Morgan Freeman, Bob Gunton, James Withmore, William Sadler

Tim Robbins
Morgan Freeman
Un prison-movie intenso e sapientemente costruito. Un dramma carcerario che sfrutta in modo intelligente e libertario i canoni e gli stilemi del genere. Ma non solo: anche una storia di amicizia profonda tra due uomini, che dimostra come anche da
un'esperienza a volte disumana e ingiusta come quella della detenzione carceraria possono nascere buoni frutti.

Tratto da un racconto di Stephen King, "Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank", il film racconta la storia di Andy Dufresne (Tim Robbins), un giovane bancario giudicato colpevole dell'omicidio della moglie e del suo amante, che viene rinchiuso nel 1947 in un penitenziario del Maine. L'amicizia con l'ergastolano Red (Morgan Freeman) e la sua abilità professionale gli offriranno l'opportunità di creare condizioni di vita più umane per lui e per gli altri detenuti e spianeranno la strada per il suo riscatto.

Il film riesce a trovare un incredibile equilibrio tra la cruda realtà carceraria fatta di soprusi e l'empatia che si sprigiona tra lo sparuto gruppetto di ergastolani che trovano vicinanza e conforto l'uno nell'altro e in particolare nell'amicizia tra Andy e Red. Anche l'interpretazione dolente e disperata di James Withmore (Brooks, il bibliotecario della prigione) è importante come chiave di lettura dell' "istituzionalizzazione" dell'individuo sottoposto a lunga pena detentiva e dell'impossibilità di riadattamento una volta escluso dal sistema di cui egli era ormai parte integrante.

Ma il motivo trainante è la grande abilità e meticolosità di Andy che gli permetterà di raggiungere risultati impensabili. Notato dal cinico e ipocrita direttore del carcere, che sfrutta le sue abilità finanziarie e non solo per coprire un fiume di riciclaggio di denaro sporco, Andy riesce comunque a prestare i propri servigi anche alle persone disadattate o bisognose all'interno dell'istituto, e grazie alla sua perseveranza riesce a trasformare un magazzino abbandonato e pieno di topi nella migliore biblioteca carceraria del New England.

Sarà una volgare, vile e premeditata uccisione che farà comunque capire che per lui è il momento di dire basta e rinascere un'altra volta.

Sarà la sua fede, la sua speranza e la sua tenacia che faranno presa su Red e lo convinceranno a condividere la sua rinascita, non prima di essersi congedato dall'istituto carcerario grazie a un disilluso ma toccante ed efficace discorso davanti alla commissione che deve deciderne (dopo 40 anni di detenzione) il rilascio:

C: "...lei è stato condannato all'ergastolo nel 1926. Dopo 40 anni si sente riabilitato?"
Red: "riabilitato? Dunque, mi lasci pensare....a dire il vero non so cosa significa questa parola".
C: "beh, vuol dire essere pronti a rientrare nella società e contribuire a...."
Red: "Lo so cosa significa per lei, figliolo....ma per me è solo una parola vuota. Una parola inventata dai politici in modo che un giovane come lei possa indossare un vestito o la cravatta e avere un lavoro. Che cosa volete sapere? Se mi dispiace per quello che ho fatto?"
C: "si, certo...."
Red: "Non passa un solo giorno senza che io provi rimorso. Non perché sono chiuso qui dentro o perché voi pensate che dovrei. Mi guardo indietro e rivedo come ero allora.....un giovane, stupido ragazzo che ha commesso un crimine terribile. Vorrei parlare con lui...vorrei cercare di farlo ragionare...spiegargli come stanno le cose.....ma non posso. Quel ragazzo se n'è andato da tanto e questo vecchio è tutto quello che rimane. E nessuno può farci niente. Riabilitato? Non significa un cazzo. Quindi scriva pure quello che vuole nelle sue scartoffie, figliolo, e non mi faccia perdere altro tempo. Perché, a dirle la verità, non me ne frega niente".


L'altro momento di svolta, che farà definitivamente presa su Red e darà lui una forza e un coraggio che nemmeno lui sospettava, sarà la lettera di Andy che egli romanzescamente troverà nel posto che gli era stato indicato e che leggerà, in un momento di grande commozione del film:


"Caro Red,
Se leggerai questa lettera, vorrà dire che sei riuscito...e se sei arrivato fin qui forse hai voglia di andare un po' più lontano....
Ricordi il nome della città, vero? (Zihuatanejo)
Mi servirebbe un uomo in gamba per aiutarmi nel mio progetto...spero proprio che tu venga...c'è anche una scacchiera che ti aspetta...ricorda Red: la speranza è una cosa buona, forse la migliore delle cose....e le cose buone non muoiono mai.....spero che questa lettera ti trovi, e ti trovi bene...
Il tuo amico Andy".


I più arguti, alla fine, potranno notare con i titoli di coda il fraterno abbraccio.

Grande, grandissimo film.

domenica 1 marzo 2015

Birdman (2014) - di Alejandro Gonzales Inarritu con Michael Keaton, Edward Norton, Naomi Watts

Michael Keaton
Riggan Thompson (Michael Keaton) è un attore e regista decaduto che versa in una crisi professionale e personale.
Quasi posseduto dal suo alter ego, Birdman, un supereroe pennuto che lo ha reso celebre e dall'ossessiva voce fuori campo che lo esorta ad abbandonare la carriera teatrale che egli tenta di intraprendere nel nome delle trame hollywoodiane che ne decretarono le passate fortune.
In bilico tra passato e futuro, con un presente minato da un complicato rapporto con la moglie e un conflittuale rapporto con la figlia che lo accusa di essere stato abbastanza impalpabile come genitore, egli non reggerà la pressione e si abbandonerà a fuoribonde liti sul set con il nuovo attore del cast Mike Shiner (Edward Norton) mestierante nella vita reale e reale sul set tanto da improvvisare (senza riuscirci) un rapporto sessuale a sorpresa con l'attrice Lesley (Naomi Watts).
Dopo un aspra invettiva con una critica cinematografica, Birdman passerà la notte a bere.
Al risveglio, il giorno dopo, il suo destino si compirà.

Stavolta abbiamo bisogno noi di essere illuminati.
Non l'abbiamo capito.
Il successo con gli Oscar ha spianato la strada alla visione cinematografica anche con noi, ma uscendo dalla sala cinema non ci si è sentiti arricchiti rispetto a quando siamo entrati.
Quasi nessuna sensazione, né buona ne brutta. E' questo il punto: nessuna sensazione.
Capiamo la patologia del vivere, capiamo la riflessione introspettiva, capiamo quell'eterno ondeggiare tra sensi di colpa e volontà di affermazione propri delle star più tormentate, capiamo la scoperta di se stessi. Ma, pur apprezzando qualche spezzone e qualche dialogo non banale e degno di nota, non siamo riusciti a trovare un filo conduttore, un motivo trainante, una vera essenza di significato del film.
La telecamera passa dal dietro le quinte, ai set, a Broadway, in un'incessante sequenza descrittiva dei fatti ma alla fine si resta interdetti. Ci si alza e si dice: "allora?". Forse questo è il nuovo cinema, che cerca di sopperire la saturazione creativa e la povertà di idee cercando il colpo ad effetto. Questo è tutto il "buono" che riusciamo a riscontrare.

sabato 14 febbraio 2015

Duel (1971) - di Steven Spielberg con Dennis Weaver

Cacciatore e preda: l'autocisterna e la Plymouth Valiant
protagoniste di Duel.
Il primo lungometraggio diretto da un giovanissimo Steven Spielberg, il film che ispirerà tutti i suoi film futuri e in particolare Lo Squalo.

David Mann (Dennis Weaver) è un commesso viaggiatore. Una vita grigia, che scorre senza nessuna emozione. Un personaggio anonimo, sbiadito, che volta le spalle ai problemi per non affrontarli.

Durante un viaggio, su una strada che percorre abitualmente in macchina, si imbatte in una grossa e oscura autocisterna. Sarà l'inizio di un incubo.

Spielberg definì il romanzo di Richard Matheson, da cui trasse il film, come il Psyco di Hitchcock ma sulla strada. Ne fu affascinato.

Duel è un "road movie" atipico. E' un duello tra cacciatore e preda, con un fascino implicitamente macabro, ossessivo nel tratteggiare le paranoie di un Dennis Weaver sempre in bilico tra pazzia, stati di calma apparenti e nuove schegge di terrore da vittima braccata, momenti di isterismo e nevrosi da "uomo perduto" che vede prossima la fine. E' presente nel film un controllo della narrazione che già indica la grandezza di Spielberg: memorabile la sequenza con il protagonista all'interno di un bar che viene assalito da un flusso continuo di pensieri che lo spingono ad interrogarsi sulla sua situazione, sulle intenzioni del suo misterioso nemico e su come reagire. Con il destino che sembra farsi beffe della sua fragilità e incapacità decisionale.

Il pericolo invisibile (l'autista dell'autocisterna non si vede mai, salvo stivali e braccia) è il tema su cui viene costruita la paura, il senso d'inquietudine del protagonista. Con dei particolari calibrati: non solo la scelta accurata della macchina (rossa per spiccare nei panorami desolati desertici) e dell'autocisterna (volutamente vintage e sinistra), ma anche le riprese con la camera-car e piazzando delle cineprese lungo il tragitto da un lato e dall'alto della strada, che consentirono di avere riprese complesse e con suspence ma anche molteplici in pochi chilometri di tragitto. A volte abbassando le cineprese e mettendo sempre pareti rocciose su un lato della strada per dare il senso della velocità.

Una piccola perla cinematografica dal budget modestissimo, molto amato dalla critica e dal pubblico.

martedì 10 febbraio 2015

Operazione Valchiria (2008) - di Bryan Singer con Tom Cruise, Kenneth Branagh, Carice Van Houten, Bill Nighy, Thomas Kretshmann, Terence Stamp, David Bamber.

"Voi non portaste il peso della vergogna.
Avete resistito
sacrificando la vostra vita
per la libertà, per il diritto e per l'onore".

Dal monumento alla resistenza tedesca, Berlino



La lapide in ricordo dei cospiratori, unico caso di commemorazione
di soldati tedeschi. E' sita nel palazzo del Bendlerblock.
Storia e azione, nella rilettura del più celebre attentato interno ad Adolf Hitler.
Tunisia, 1943. Il colonnello Claus Von Stauffenberg (Tom Cruise) è impegnato nella campagna militare in Africa con la 10a Divisione Panzer. Nei suoi scritti denuncia tutta la sua preoccupazione per la situazione militare e per la piega tragica e disonorevole che la guerra ha preso.
Nel corso di un attacco alleato, viene gravemente ferito e rientra in Germania minato nel fisico, ma non nello spirito. Si unisce alla Resistenza ed entra a far parte dell'operazione Valchiria, un piano militare strategico che prevede la mobilitazione delle truppe della riserva in caso di rivolta popolare: il suo scopo originale era pertanto quello di proteggere il regime nel caso in cui Hitler venisse spodestato o ucciso.
Primo obiettivo dei cospiratori: riscrivere il piano, con l'inconsapevole benestare di Hitler, in modo da farlo scattare a seguito di un colpo di stato fatto figurare come organizzato dalle SS, il corpo speciale posto a protezione di Hitler. Ma la riuscita del piano presuppone la morte di Hitler per scatenare il voluto effetto domino senza rischi che venga interrotto: quindi il secondo obiettivo dei cospiratori sarà UCCIDERE HITLER.
Il primo obiettivo viene raggiunto dopo una drammatica "trasferta" di Stauffenberg al Berghof, residenza privata di Hitler nelle alpi bavaresi. In un crescendo di tensione, Stauffenberg riesce ad avvicinare Hitler e fargli firmare la copia corretta di "Valchiria".
Ma il secondo obiettivo si rivelerà ben più difficile da raggiungere.
Attraverso Stauffenberg, si scopre un'umanità nella Germania di Hitler molto raramente rappresentata in opere cinematografiche. Philipp Von Shulthess, nipote del colonnello Von Stauffenberg, riconoscerà in un intervista che il nonno era un ufficiale della Wehrmacht contrario a diversi modus operandi nazisti; tuttavia era un soldato e ciò aveva un valore per lui: significava servire il suo Paese e, in ultimo, semplicemente salvare delle vite.
Il film è stato oggetto di svariate polemiche: dalla partecipazione di Cruise non vista di buon occhio in quanto membro di Scientology (organizzazione avversa in Germania) alla trama ritenuta debole e alla ricostruzione storica fatta alla meno peggio. Non siamo d'accordo: eliminando ogni pregiudizio sull'appartenenza di Cruise alla controversa organizzazione, che francamente non vediamo cosa c'entri con il film, troviamo invece che Cruise sia eccezionale nell'interpretazione, e che restituisca a Stauffenberg (oltre all'indiscutibile somiglianza fisica) tutto il carisma che lo caratterizzava e la sua crescente tensione che ha accompagnato questa "missione impossibile". Per quanto riguarda la ricostruzione storica, se si confrontano i fatti esposti con uno qualsiasi dei tanti documentari che nel passato hanno ricostruito la storia dell'attentato del 20 Luglio 1944, non vediamo davvero nessuna distorsione negli episodi-chiave né spazio per particolari sensazionalismi. Forse è dato poco risalto alla Germania bombardata e alle macerie, al contrario sembra di notare solo le architetture lineari e un po' megalomani proprie del III Reich; tuttavia splendida la panoramica del Berghof nella parte centrale del film. Notevole anche la scena dell'attacco iniziale alleato in Africa e la dotazione dei modelli aerei fedeli a quelli dell'epoca: veri caccia risalenti alla II guerra mondiale come il Messerschmitt 109 e lo Junker.
Tutti gli interpreti sono credibili e ben calibrati nei ruoli: un plauso particolare a Carice Von Houten, straordinariamente forte nella sua interpretazione nonostante brevi dialoghi, e al britannico David Bamber interpretante Adolf Hitler e bravo a impersonare il carisma cupo del dittatore tedesco.

domenica 8 febbraio 2015

Platoon (1986) - di Oliver Stone con Charlie Sheen, Willem Dafoe, Tom Berenger, Johnny Depp, Kevin Dillon

Il regista Oliver Stone assieme ai protagonisti di Platoon,
Charlie Sheen, Willem Dafoe e Tom Berenger,
al Festival di Cannes - 2006.
La prima puntata della trilogia dell'ex volontario Oliver Stone sul Vietnam.
Arruolato anche egli nella compagnia di fanteria Bravo che viene raccontata nel film, tornò dalla guerra decorato con un Cuore Porpora e una Star di Bronzo, ma soprattutto tornò assolutamente determinato a fare un film che raccontasse al mondo la sua storia.

Malgrado ciò, Stone dovette aspettare otto anni prima di scriverne la sceneggiatura. "Prima non ce l'avrei fatta: non avevo sufficiente distacco" spiegò. Ci vollero poi altri 10 anni per convincere gli studi cinematografici a finanziare un film su un capitolo così difficile e controverso nella storia americana.
Arnold Kopelson, il produttore, si entusiasmò al copione e non potè fare a meno di notare che, all'inizio degli anni '80, i suoi figli adolescenti confermavano che la guerra in Vietnam era l'argomento all'ordine del giorno nelle scuole: in altre parole, l'America era pronta ad analizzare e fare i conti con il proprio passato.

Cast e troupe giunsero nelle Filippine poco dopo la fuga del presidente Ferdinando Marcos e con una situazione di tensione per lo spostamento di potere e il cambio di regime. Iniziarono quindi due settimane di durissimi addestramenti per gli attori: per imparare come agire e comportarsi da "grunts". Con la preziosa assistenza di Dale Dye, un ex capitano dei marine, gli attori furono completamente sommersi nella vita di fanteria e nel modo di parlare, pensare e muoversi.

Charlie Sheen, figlio d'arte del padre Martin protagonista di Apocalypse Now, ammise che quelle furono le due settimane più lunghe della sua vita. Proprio come dei veri soldati, l'intero cast dovette superare notti pressoché insonni, in continuo stato di allerta, senza dormire mai per oltre due ore consecutive e venendo svegliati da vere esplosioni studiate per minare i nervi. Cibandosi solo di razioni confezionate, impossibilitati anche a lavarsi, arrivarono alla fine delle pellicole prostrati fisicamente e mentalmente. Questo permise agli stessi reduci che avevano visto Platoon di riconoscersi nel film.

Chris Taylor (Charlie Sheen) è un giovane americano che ha abbandonato il college e la famiglia per arruolarsi volontario per il Vietnam, trovando ingiusto che debbano essere sempre i ragazzi poveri e che vivono ai margini  a dover essere chiamati in prima linea e sacrificarsi. Questo lo avvicina maggiormente ai commilitoni che auspicano la fine della follia della guerra e il rientro a casa, capeggiati dal sergente antimilitarista Elias (Willem Dafoe), e lo fa sentire invece distante da coloro che vivono la violenza come prassi quotidiana e odiano il nemico arrogandosi il diritto di compiere qualsiasi sopruso indottrinati dallo spietato sergente maggiore Barnes (Tom Berenger).

L'esercito americano si troverà a combattere una battaglia estremamente difficile in un territorio pieno di insidie, contro un nemico spesso invisibile e che si muove con grande familiarità in un ambiente a lui congeniale. Le vittime innocenti sono i civili e i contadini, che gli americani faticano a distinguere dai soldati dell'esercito vietnamita. Il barbaro assalto al villaggio, che si ispira ad un episodio di guerra realmente accaduto, materializza tutto il cieco furore e la crudeltà. Il sergente maggiore Barnes è l'espressione massima di questo fanatismo: le cicatrici e le ferite del suo viso lasciano appena indovinare le ben più profonde ferite nell'animo. La corsa disperata del sergente Elias braccato dai Vietcong, voce della coscienza dell'intero plotone, che nell'ultimo momento protende le braccia al cielo come per aggrapparsi all'eternità e al luogo dove regna la pace, è impressa nell'immaginario collettivo. Un icona.

L'ingenuo soldato catapultato nella giungla vietnamita, passando attraverso amarissime esperienze e sconvolto dalla follia della guerra, sopravviverà e, toccato nel profondo, esprimerà questo stato d'animo al momento del rientro a casa con queste parole:

"io ora credo, guardandomi indietro, che non abbiamo combattuto contro il nemico... abbiamo combattuto contro noi stessi...e il nemico era dentro di noi. Per me adesso la guerra è finita, ma sino alla fine dei miei giorni resterà sempre con me. Come sono sicuro che ci resterà Elias, che si è battuto contro Barnes per quello che Rhah ha chiamato: il possesso della mia anima. Qualche volta mi sono sentito come il figlio di quei due padri. Ma sia quel che sia... quelli che tra noi l'hanno scampata, hanno l'obbligo di ricominciare a costruire. Insegnare agli altri ciò che sappiamo e tentare con quel che rimane delle nostre vite di cercare la bontà e un significato in questa esistenza...".



domenica 1 febbraio 2015

La sottile linea rossa (1998) - di Terrence Malick con Sean Penn, Jim Caviezel, Nick Nolte, Adrien Brody, Ben Chaplin, John Cusack, Woody Harrelson, Elias Koteas, John C.Reilly, John Travolta, John Savage, Jared Leto.

"Tra la lucidità e la follia c'è solo una sottile linea rossa"
(Rudyard Kipling)

La natura splendida e selvaggia melanesiana,
sfondo delle vicende del film.
Il maestro maudit Terrence Malick, incluso-escluso del cinema Hollywoodiano, realizza nel 1998 (e a distanza di 20 anni dal suo precedente film) questo affresco filosofico sulla battaglia di Guadalcanal nella II Guerra Mondiale.

La riservatezza e l'ostinato isolamento dalla vita pubblica sembrano essere i motivi principali della fama di questo regista: in realtà sono bastati pochi titoli e uno straordinario carisma a fare si che egli si ritagliasse una fetta di mito nel panorama del cinema americano contemporaneo.

Per il suo ritorno con "La sottile linea rossa" le più grandi stelle attoriali si sono letteralmente messe in fila per avere una parte, sia pure anche di contorno. Pur di esserci. Questo ha permesso di dare luce anche a parti marginali che, data la scarna caratterizzazione dei personaggi, non avrebbero potuto risplendere qualora affidate ad attori sconosciuti ai più.

Non lo si può definire un film di guerra. Troppo diverso da un film di guerra: solo "Apocalypse Now" può in qualche modo avvicinarsi al tipo di trattazione. Forse non è nemmeno un film nel senso stretto del termine: è un'opera d'arte, e come tale deve essere guardata. Come se si guardasse un quadro. Come un film di Kubrik.

La guerra è un brusio indistinto su cui poggiano la pesantezza delle vite dei militari: i loro pensieri, le loro speranze, le loro follie. La natura, bellissima e affascinante, sembra essere spettatrice inconsapevole ed estranea ai faticosi travagli degli uomini. La fotografia di John Toll, gli spazi aperti, i suoni impercettibili e le voci fuori campo avvolgono lo spettatore in una indescrivibile sensazione a volte empatica e a volte quasi opprimente, con un pessimismo leopardiano unito ad un senso di spossatezza quasi fisica.

Ci sono alcuni elementi centrali.
Come i flashback del soldato Bell verso la moglie cui soffre la lontananza e la mancanza: il senso verrà svelato alla fine del film.
Come il braccio di ferro tra l'ambizioso colonnello Tall e il mite capitano Staros, che alla fine verrà rimosso e avvicendato dal tenente Band.
E, più forte di tutti, lo straordinario confronto tra l'indimenticabile e mistico soldato Witt e il cinico e disilluso sergente Welsh.

Witt aveva inizialmente disertato rifugiandosi tra gli indigeni melanesiani assieme ad un compagno, per poi ricongiungersi con la compagnia fucilieri "Charlie" verso la quale si sente legato e pronto al sacrificio. Il controverso rapporto tra soldato e sergente e la loro differente visione del mondo è simboleggiata dai loro dialoghi, tra i quali quello nel campo erboso dove sono faccia a faccia e sembrano scrutarsi con profonda curiosità e stima dietro le apparenze:


Welsh: mi dispiace per te, ragazzo....
Witt: si?
Welsh: si...è così...questo esercito ti ammazzerà....se tu fossi intelligente baderesti a te stesso, non c'è niente che tu possa fare per gli altri....è come correre verso una casa in fiamme dove nessuno si può salvare. Secondo te che differenza può fare un solo uomo in tutta questa pazzia? Se muori, sarà per niente....non esiste un altro mondo al di fuori dove tutto va meglio....c'è solo questo...solo questo grande sasso.

 O quello successivo nella capanna del villaggio indigeno:

Welsh: ehi, Witt....a chi crei guai oggi?
Witt: che intende dire?
Welsh: non è questo che ti piace fare? Voltare a sinistra quando ti dicono di andare a destra? Perché sei così piantagrane, Witt?.....
Witt: Lei ci tiene a me, vero sergente? Ho sempre avuto questa sensazione....perché vuole dare la sensazione di essere una roccia? Un giorno posso venire a parlare con lei e il giorno dopo è come se non ci fossimo mai conosciuti....
(Witt guarda la capanna e la gabbia vuota con la porta aperta) ....una casa solitaria.....lei non si sente solo?
Welsh: solo in mezzo alla gente
Witt: ...solo in mezzo alla gente.....
Welsh: vedi ancora quella bellissima luce, vero? Come fai a crederci.....tu sei un mago per me.
Witt: vedo ancora una scintilla in lei....



E' la lotta espressa da Malick tra lo scetticismo della ragione e le speranze del cuore: è il pessimismo realista contro l'ottimismo idealista. La scintilla che Witt vede nel suo superiore è l'espressione della speranza che può nascere dall'uomo che riconosce l'empatia e la bellezza: la voce fuori campo di Welsh alla fine del film ("Se non Ti incontrerò mai nella mia vita, che senta la Tua mancanza") testimonia come il sergente abbia interiorizzato e fatto proprio qualcosa della grande visione di Witt, che raggiungerà alla fine il mondo diverso che aveva visto con i suoi occhi nuotando felice assieme ai bambini melanesiani.

domenica 18 gennaio 2015

La Rosa Bianca - Sophie Scholl (2005) - di Marc Rothemund con Julia Jentsch, Alexander Held, Andrè Hennicke.

Un francobollo tedesco raffigurante Sophie Scholl
Straordinaria Julia Jentsch. Una performance da Oscar.

Monaco, Germania, 1943. Un gruppo di coraggiosissimi giovani universitari si ribellano al Nazismo e alla macchina da guerra. Nasce così la "Rosa Bianca", movimento di resistenza alTerzo Reich.

Sophie e Hans Scholl sono sorella e fratello, accomunati dagli stessi ideali. Le loro biografie testimoniano il loro essere persone gioiose, provenienti da famiglia religiosa ma non bigotta, e che nonostante tutto riuscivano a godersi la vita nonostante il regime.

Il 18 Febbraio 1943 vengono scoperti e arrestati per aver distribuito di nascosto all'interno dell'università dei volantini antimilitaristi e inneggianti al risveglio delle coscienze verso il popolo tedesco.
Sophie viene quindi interrogata dalla Gestapo: sarà l'inizio di uno strenuo duello psicologico affrontato dalla giovane ragazza con straordinario coraggio e fermezza.

Mohr, l'ufficiale della Gestapo e investigatore professionista occupatosi del caso, aveva 26 anni di esperienza. Aveva già visto tre governi tedeschi susseguirsi ed aveva abbracciato il Nazionalsocialismo che gli aveva garantito una importante carriera. Esperto in interrogatori, era capace di fare cedere in 10 minuti l'accusato e costringerlo alla confessione.

Ma Sophie Scholl è tenace. La ragazza mente e nega, ricorre a strategie e provocazioni, sembra sul punto di crollare ma ecco che invece si riprende con rinnovata forza arrivando quasi a disarmare il suo avversario. Mohr ad un certo punto arriva ad avere un tale rispetto per la ragazza che le dà la possibilità di salvarsi con la ritrattazione della sua confessione.
La ragazza rifiuta, vedendo in questo un tradimento dei suoi ideali. Viene quindi tradotta assieme al fratello davanti al cosiddetto "Tribunale del Popolo" presieduto dal tristemente noto giurista Roland Freisler: è un processo-farsa, dove tutte le aberrazioni e la degenerazione del diritto nel III Reich emergono con evidenza.

La ricostuzione storica poggia su un meticoloso lavoro di ricerca da parte del regista Marc Rothemund. Dopo la caduta del muro, sono stati trovati nuovi protocolli con gli interrogatori della Gestapo a Sophie Scholl, utilizzati per realizzare il film.
Il risultato è un opera intensa, accurata e con momenti di grande empatia.

Sophie Scholl è un fulgido esempio di coraggio, bontà, sensibilità e fermezza. In tempi come quelli di oggi, sempre più carenti di punti di riferimento per i giovani e zeppi di "casi" da prima pagina creati e smontati dai media senza che mai sia possibile sondare l'effettiva sincerità di chi compie le gesta, questa ragazza di 21 anni che ha dato tutto e alla fine se stessa è davvero un raggio di luce intensa cui le nuove generazioni dovrebbero farsi avvolgere.

domenica 11 gennaio 2015

L'avventura del Poseidon (1972) - di Ronald Neame con Gene Hackman, Ernest Borgnine, Shelley Winters, Stella Stevens.

In un periodo cinematografico, quello degli anni '70, che inaugurò un proficuo filone del genere "catastrofico", questo film è uno dei titoli più noti. Anche per la partecipazione di ben 15 attori vincitori di premi Oscar.
Ci sono dei tratti comuni nella molteplicità dei film di questo genere. Le scene di terrore e suspense intermezzate dalle storie private e intime dei protagonisti, spesso appartenenti a variegate e differenti scale sociali. La figura guida, disposto ad assumersi grandi responsabilità pur di condurre i pari sventurati alla salvezza. La figura burbera e collerica. Il ragazzino intelligente e coraggioso. Le donne, determinate o più fragili ma spesso determinanti negli sviluppi degli eventi. Gli irresponsabili che hanno contribuito a fare maturare il disastro, spesso destinati a perire in esso. Non tratto ultimo, il complicato rapporto tra l'uomo e il progresso.
La Queen Mary, il modello della nave del film.
Il Poseidon è la nave di linea che si trova ad essere ribaltata di 180° in alto mare dopo essere stata travolta da una cosiddetta "onda anomala".
La figura guida è quella del reverendo Scott (un giovane Gene Hackman), straordinario per lungimiranza e coraggio.
L'idea anticonformista del reverendo Scott riguardo il rapporto tra l'uomo, il suo destino e Dio, da lui esposta, è passaggio memorabile del film. Il suo personale, curioso e controverso rapporto con la religione rivelato nel sermone sul ponte della nave si rivela profetico nel suo preparare l'uditorio alla terribile prova che lo aspetta e che solo pochi di loro riusciranno a superare. Così li esortava:

"Dio è occupatissimo. Egli ha tutto un piano per l'umanità che supera di molto la nostra comprensione. Quindi non è ragionevole aspettarsi che egli si preoccupi dell'individuo. L'individuo è importante solo in quanto serve quale nesso creativo tra il passato e l'avvenire....con i suoi figli....i suoi nipoti...con il contributo che presta all'umanità. Pertanto, non pregate Dio di risolvere i vostri problemi! Pregate invece quella parte di Dio che avete in voi. Abbiate il coraggio di battervi da soli. Dio vuole anime coraggiose, vuole vincitori. Non rinunciatari. E se non riuscite a vincere, almeno provateci! Dio Ama chi tenta. Quindi, quale decisione dobbiamo prendere per l'Anno nuovo? Far sapere a Dio che abbiamo la volontà e il fegato per cavarcela da soli! Siate pronti a battervi per voi e per gli altri....per coloro che Amate....e quella porzione di Dio che è dentro di voi si batterà con voi sino in fondo!".
(il reverendo Scott).

Quando matura il disastro, il reverendo Scott non ha dubbi sulla strada da seguire. Non è l'attesa dei soccorsi, ma è l'azione. Per la salvezza bisogna prendere la strada in salita.
Saranno in pochi a seguirlo nell'avventura, saranno tante le vite perdute. E gli avvenimenti drammatici sgretoleranno le sue residue certezze sulla religione e daranno sostanza a tutti i suoi ammonimenti.