martedì 30 settembre 2014

Dragon: La Storia di Bruce Lee (1993) - Di Rob Cohen con Jason Scott Lee, Lauren Holly

La statua di Bruce Lee
in Hong Kong.
La storia romanzata di Bruce Lee, maestro e icona assoluta delle arti marziali.
Basato sul libro della vedova Linda Lee e ribattezzato da alcuni addetti ai lavori come una mediocre biografia, riesce comunque a raccontare il grande carisma spettacolare del mito, restituendole la contagiosa carica di grande artista marziale, modello di benessere fisico e punto di riferimento spirituale contro paura e pregiudizio.
Oltre che per le scene di lotta, magistralmente interpretate da Jason Scott Lee, il film offre alcune scene memorabili dal punto di vista emozionale. Il duetto di Jeet Kune Do con la moglie Linda; la sua apertura alla madre di Linda, che aveva interrotto i rapporti con la figlia opponendosi alla sua relazione, permettendole di vedere e tenere in braccio il piccolo Brandon; il suo duetto con il figlio Brandon che gattona mentre lui al suo fianco cammina sulle braccia; da brividi la scena finale con la "forma dei 1000 uomini".
Il film è dedicato alla memoria dello sfortunato Brandon Lee, il figlio tragicamente scomparso. Nei titoli di coda è presente una dedica che recita:
"The key to immortality is first living a life worth remembering".

domenica 28 settembre 2014

Nato il 4 Luglio (1989) - di Oliver Stone con Tom Cruise, Willem Dafoe, Frank Whaley, Kyra Sedgwich, Jerry Levine.

La storia di Ron Kovic. Bravo ragazzo "Made in USA", nato il 4 Luglio del 1946, proprio nel giorno dell'indipedenza americana. Ron ama la famiglia, la religione, il baseball, ma per prima cosa ama il suo Paese. Fa tenerezza vedere le sue gesta da bambino prima e da ragazzo poi, abituato a competere sportivamente e primeggiare, a non accettare altro che la vittoria e a vivere la sconfitta con frustrazione, a poggiare tutte le sue sicurezze nella lealtà alla bandiera e nel dare tutto se stesso per ciò in cui crede. Spinto da questi ideali e inebriato dalla retorica anti-comunista e dalle aberrazioni del cattolicesimo ("o con Dio, o con i comunisti"), si arruola nei marines e parte per il Vietnam. Ne
Il vero Ron Kovic in una manifestazione
contro la guerra in Iraq.
torna nel 1968, paralizzato dalla vita in giù, distrutto nel corpo ma non nello spirito. Si sente un eroe, che ha sacrificato se stesso per il bene dell'America. Ma lo scenario è cambiato: la storia americana trasuda sangue dopo gli assassini di John e Bob Kennedy e Martin Luther King, il fronte pacifista anti-guerra cresce sempre di più e Ron Kovic è solo una delle tante cicatrici, un simbolo degli errori dell'America che la gente ormai disconosce e nel quale non vuole identificarsi, ma solo dimenticare.
Inizia quindi un'altra parabola dolorosa di Ron Kovic, dopo gli orrori della guerra al fronte e di fronte alla propria condizione di infermo in una sedia a rotelle. Graduatamente prende coscienza del'inganno subito da tutta la sua generazione, dell'assassinio della buona fede. Sotto le grida di "no alle bombe, no alla guerra", entra attivamente nel fronte pacifista fino ad offrire una testimonianza alla Convenzione Democratica del 1976.
Il regista Oliver Stone.
"Nato il 4 Luglio" è una storia di innocenza perduta e di coraggio trovato. E' uno dei tanti dolorosi sguardi gettati verso la guerra in Vietnam. E' il viaggio di un uomo che, quando sembra schiacciato dal peso degli eventi e dalla propria triste condizione di emarginato, riesce a trovare la forza di risollevarsi e di dare un nuovo senso alla propria esistenza. Senza retorica, senza ipocrisie, ma solo con la propria consapevolezza e determinazione nel mettere a disposizione la propria esperienza di reduce per fare si che gli orrori cui ha assistito non debbano più ripetersi.
"Nato il 4 Luglio" è il secondo capitolo della trilogia dello statunitense Oliver Stone (anche egli ex-volontario) sul Vietnam. Regista da sempre distintosi per il forte impatto polemico e politico dei suoi film e che, come in questo caso, non si è fatto scrupoli nel raccontare con consapevole fermezza gli errori di una nazione intera, la sua nazione.

martedì 23 settembre 2014

Brubaker (1980) - di Stuart Rosenberg con Robert Redford, Jane Alexander, Murray Hamilton, Morgan Freeman

Robert Redford interpreta Harry Brubaker
Per debellare un problema, bisogna conoscerlo a fondo. E per conoscerlo a fondo, bisogna infiltrarsi al suo interno e vedere le cose con i propri occhi.

Pensa questo Harry Brubaker, criminologo ed ex ufficiale dell’esercito, quando dopo essere stato assegnato a dirigere il "Wakefield State Prison" in Arkansas decide inizialmente di infiltrarsi come carcerato all'interno dell'istituto e assistere alla violenza come prassi quotidiana ed essere spettatore interessato dei soprusi, delle prevaricazioni di un mondo basato sulla legge del più forte e privo di ogni etica.

Rivelata la sua identità e fedele al principio che in certi casi è più facile demolire e ricostruire da zero che non revisionare un sistema iniquo, nonchè cosciente del fatto che devono esserci "un peso e una misura" nell'agire per conquistare il vero rispetto dei detenuti, Brubaker agisce da subito. Cerca di conoscere i detenuti e chi è meritevole, elimina ogni clientelismo in essere tra l'istituto e gli esterni azzerando i contratti in essere, licenzia persino un'impiegato dello stato reo di complicità con il sistema corrotto. E' una vera e propria rivoluzione, che disorienta e stupisce.

La popolazione carceraria si divide in due gruppi: coloro che accolgono favorevolmente l'onda della rivoluzione perchè si sentono, forse per la prima volta, parte di qualcosa di buono e di positivo, qualcosa che riesce a dare nuova linfa e stimoli alla loro problematica esistenza; coloro che invece sguazzavano nella corruzione e che temono che "Brubaker farà diventare questo posto una prigione", sono coloro che osteggiano il direttore riformatore.

E con il mondo esterno, le difficoltà non sono da meno. Con il solo appoggio di Lilian, la donna che lo ha imposto a capo della prigione, e contro l'ostilità dei corrotti membri del comitato della prigione che intende gestirla solamente nel segno della continuità del sistema, Brubaker è un uomo solo che abbandona la scena quando è consapevole che per restare seduto al tavolo deve ricorrere a compromessi. E' un uomo solo che non vede insieme gioco politico e verità. E' un uomo solo che non esita a mettersi di traverso con chiunque pur di non essere complice di imbrogli, menzogne e addirittura omicidi.

Nello sconforto per non riuscire a cambiare il corso degli eventi, Brubaker perde anche il sostegno di Lilian che lo aveva sempre sostenuto auspicando perlomeno un suo collaborazionismo: questo assoluto isolamento lo porta inevitabilmente all'esautorazione.

Ispirato ad una storia realmente accaduta, "Brubaker" racconta il cinema del realismo di denuncia così vicino alle idee di Redford. L'idealismo puro, la coerenza ideologica, il coraggio del vero cambiamento, il costante rifiuto di ogni ambiguità e il fare ciò che è giusto e non ciò che è conveniente o sbrigativo. Con la consapevolezza di andare verso un punto di non-ritorno, ma con la grande, grandissima gratifica finale dell’ essere riuscito a fare breccia nelle coscienze dei detenuti, di avere risvegliato in loro il senso di rispetto reciproco e verso gli altri, di avere unito tutta la parte buona all'interno di un contesto corrotto. Il suo è un addio amaro e trionfale, che conquista anche gli ultimi dubbiosi e darà loro la spinta finale per dare continuità al rinnovamento ed essere i prossimi veri riformatori e promotori di un’azione legale contro le ingiustizie e i soprusi dell’istituto.

lunedì 22 settembre 2014

Alpha Dog (2006) - di Nick Cassavetes con Emile Hirsch, Justin Timberlake, Sharon Stone e Bruce Willis

La San Fernando Valley, Los Angeles, CA,
località di riferimento del film
Tratto da una storia vera. Cassavetes ci porta dentro il mondo giovanile "made in USA" contemporaneo, in tutta la sua aberrazione e degenerazione.
"Alpha Dog", il giovane leader di un gruppo di ragazzi, già avvicinato dal padre al mondo della malavita di Los Angeles e a tutti gli effetti testa di ponte del traffico di marijuana della San Fernando Valley, vive nel benessere legittimato dalla sua posizione.
I "suoi" ragazzi lo venerano e lo vedono come punto di riferimento per una vita piena di divertimenti sopra le righe e feste da sballo dove abbonda l'uso di droga. Dal più supino e devoto al più indipendente, nessuno può dire di no a Johnny Truelove.
Perchè grazie a lui ci si sente parte di qualcosa, ci si sente grandi, importanti.
E' la rappresentazione del crollo dei valori tradizionali.
Locandina pubblicitaria di Palm Springs, teatro della "Fiesta".
La famiglia non ha più il suo ruolo guida e i genitori sono privi della forza del controllo sui figli: già piegati dalle loro fragilità di adulti, vittime del proprio essere oppure semplicemente assenti nei momenti chiave, i genitori non riescono più in nessun modo ad essere presenti nel modo giusto nella vita dei figli: Sonny Truelove (papà di Johnny) crea però un gangster a propria immagine e somiglianza, un ragazzo cresciuto in fretta e con un carisma fuori dal comune. Ma pur sempre un ventenne che non riesce ad evitare che la situazione progressivamente gli sfugga di mano.
I rapporti sociali tra i ragazzi sono basati più sulla volontà di sopraffazione che non sull'amicizia, più sull'interesse personale che non sull'empatia.
Su queste basi si evolve la storia. Prima con dei contorni sfumati, poi sempre più chiaramente, si va progressivamente verso l'epilogo drammatico. Un evento si sussegue ad un altro, creando una reazione a catena inarginabile. E' un qualcosa di troppo grande per questi ragazzi dalle famiglie benestanti, che vedono i risultati delle loro azioni andare ben oltre le loro intenzioni.
Il cane alfa della gang: abituato ad avere il controllo su tutto, ad
essere il centro del mondo di una gioventù che si sente protagonista all’interno di questo mondo dal sapore malavitoso, rischioso, estremo e quindi affascinante.
Poi il castello con le fondamenta di argilla che crolla. Il mondo

patinato che si dissolve. I suoi abitanti che fuggono in

maniera caotica, disordinata. Come formiche impazzite. Una corsa

di breve durata. Solo il Cane Alfa continua la fuga. Braccato, solo,

per la prima volta preda. Una fuga spettacolare e drammatica,

accompagnato da un ex compagno di scuola da uno stato all’altro

fino al confine messicano e poi il precipitoso ritorno a Los Angeles

per preparare la fuga definitiva. Una vita al massimo, una ultima

pagina che ancora deve essere scritta, una storia dei nostri giorni.

Una storia da American Dream che si trasforma in un incubo.
Prendendo spunto da un reale fatto di cronaca, Cassavetes fotografa il mondo giovanile di oggi nella sua dimensione non già di causa ma di effetto degenerativo della cultura occidentale. Quando lo sballo si sostituisce al sapere e alla consapevolezza, quando la gang si sostituisce alla famiglia e quando i "soldi facili" sono l'unico fine per il quale ogni mezzo sembra giustificato: pur senza moralismi e paternalismi ma vedendo invece la storia dall'interno e da diversi punti di vista, il lavoro di Cassavetes è ottimo anche grazie alle ottime prestazioni attoriali: sia quelle dei "verdi" e sorprendenti Hirsch e Timberlake, sia i quasi "camei" dei già affermati Bruce Willis e Sharon Stone.

1997 Fuga da New York (1981) - di John Carpenter con Kurt Russell, Lee Van Cleef, Ernest Borgnine, Donald Pleasence, Harry Dean Stanton, Adrienne Barberau

La fantascienza entra nel terzo millennio. Il noir metropolitano diventa icona.
Il capolavoro visionario di John Carpenter, in quell'inizio anni '80 così proiettati verso il futuro (Blade Runner è del 1982), resta un successo indimenticabile. Probabilmente in una misura importante per la caratterizzazione del protagonista Jena Plissken: antieroe solitario e maledetto tra i più amati del cinema contemporaneo.
Catapultato con un sommo ricatto nella devastata ex Grande Mela, trasformata in un carcere di massima sicurezza a cielo aperto, l'eroe di guerra pluridecorato e carico di condanne si trova a combattere una lotta per la sopravvivenza il cui fine sarà quello di tirare fuori dal mondo creato dai forzati il Presidente degli Stati Uniti, finito dentro per il dirottamento dell'aereo presidenziale da parte di un gruppo organizzato di terroristi. L'impresa naturalmente si rivelerà estremamente
difficile. Ma Jena Plissken darà riprova di coraggio e astuzia, fino al limite delle proprie risorse fisiche, per riuscire nell'impresa. Disilluso, disincantato e privo di soggezione nei confronti dei propri carcerieri e degli uomini di potere, verso i quali il suo disprezzo è motivato e palese, Jena scriverà il finale in maniera beffarda nei confronti di chi sembra non avere tratto alcun insegnamento dalla tragica avventura trascorsa, e omaggerà in questo modo il suo personaggio e i suoi coraggiosi
compagni di viaggio caduti nello scenario crudele e fatiscente dell'infernale penitenziario.

martedì 2 settembre 2014

Balla coi Lupi (1990) - di Kevin Costner con Kevin Costner, Graham Greene, Mary McDonnell

Kevin Costner
Il film che ha visto la regia e l'interpretazione di Kevin Costner, strepitoso successo e vincitore di ben 7 Oscar.
Balla coi Lupi è una stupenda parabola sul rapporto dell'uomo con la natura, sull'amicizia, sulla fratellanza, sulla solidarietà e sulla lotta per la difesa della propria identità e della propria esistenza. La storia di un uomo che trovò se stesso, le sue radici e l'Amore nel selvaggio West.
E' il western che per la prima volta restituisce ai pellerossa la lingua madre (i dialoghi sono sottotitolati) e assieme a questo restituisce anche la dignità a un popolo, quello Sioux così come tanti altri popoli oppressi dei nativi americani, che della dignità fece sempre la propria ragione di essere.
Il tenente Dunbar che prende sempre più coscienza dell'ingiustizia e dell'orrore perpetrato dagli uomini suoi simili ai danni di chi vive un esistenza in armonia con se stesso, finisce per identificarsi progressivamente sempre più con i Sioux, ad apprezzare i loro usi costumi e tradizioni e il grande senso di unità e fratellanza, fino a convincersi di smettere per sempre gli abiti militari per fare parte della tribù e combattendo con loro contro i suoi ex commilitoni.
Toro Seduto, leggendario capo Sioux
La visione dello scenario con questa angolazione dà vita a grandi momenti di emozione, speranza e malinconia, che si materializza in Due Calzini, il lupo solitario così romanticamente chiamato dal tenente Dunbar, il simbolo del legame tra l'uomo, la natura e il senso di solidarietà rimasto fino a quel momento sopito. L'immagine del lupo che si sfama dalle mani dell'uomo dopo aver superato la diffidenza è anche l'emblema di come cuore e sentimenti siano in grado di fare crollare ogni barriera.
Il pretesto della civilizzazione, necessario per nascondere la cieca arroganza e la cruda ignoranza di coloro che definivano predoni e straccioni i pellerossa, distruggerà una favola di altri tempi scritta da tanti popoli che seppero vivere valorosamente, da guerrieri indomiti, che scelsero nella maggior parte dei casi di morire combattendo piuttosto che vivere da schiavi e da brutalizzati. Ma Balla coi Lupi, il nome indiano con cui viene omaggiato dal suo nuovo popolo l'ormai ex soldato, ha ormai legato la propria identità e il proprio destino ai Sioux e alla sua neonata famiglia.