sabato 14 febbraio 2015

Duel (1971) - di Steven Spielberg con Dennis Weaver

Cacciatore e preda: l'autocisterna e la Plymouth Valiant
protagoniste di Duel.
Il primo lungometraggio diretto da un giovanissimo Steven Spielberg, il film che ispirerà tutti i suoi film futuri e in particolare Lo Squalo.

David Mann (Dennis Weaver) è un commesso viaggiatore. Una vita grigia, che scorre senza nessuna emozione. Un personaggio anonimo, sbiadito, che volta le spalle ai problemi per non affrontarli.

Durante un viaggio, su una strada che percorre abitualmente in macchina, si imbatte in una grossa e oscura autocisterna. Sarà l'inizio di un incubo.

Spielberg definì il romanzo di Richard Matheson, da cui trasse il film, come il Psyco di Hitchcock ma sulla strada. Ne fu affascinato.

Duel è un "road movie" atipico. E' un duello tra cacciatore e preda, con un fascino implicitamente macabro, ossessivo nel tratteggiare le paranoie di un Dennis Weaver sempre in bilico tra pazzia, stati di calma apparenti e nuove schegge di terrore da vittima braccata, momenti di isterismo e nevrosi da "uomo perduto" che vede prossima la fine. E' presente nel film un controllo della narrazione che già indica la grandezza di Spielberg: memorabile la sequenza con il protagonista all'interno di un bar che viene assalito da un flusso continuo di pensieri che lo spingono ad interrogarsi sulla sua situazione, sulle intenzioni del suo misterioso nemico e su come reagire. Con il destino che sembra farsi beffe della sua fragilità e incapacità decisionale.

Il pericolo invisibile (l'autista dell'autocisterna non si vede mai, salvo stivali e braccia) è il tema su cui viene costruita la paura, il senso d'inquietudine del protagonista. Con dei particolari calibrati: non solo la scelta accurata della macchina (rossa per spiccare nei panorami desolati desertici) e dell'autocisterna (volutamente vintage e sinistra), ma anche le riprese con la camera-car e piazzando delle cineprese lungo il tragitto da un lato e dall'alto della strada, che consentirono di avere riprese complesse e con suspence ma anche molteplici in pochi chilometri di tragitto. A volte abbassando le cineprese e mettendo sempre pareti rocciose su un lato della strada per dare il senso della velocità.

Una piccola perla cinematografica dal budget modestissimo, molto amato dalla critica e dal pubblico.

martedì 10 febbraio 2015

Operazione Valchiria (2008) - di Bryan Singer con Tom Cruise, Kenneth Branagh, Carice Van Houten, Bill Nighy, Thomas Kretshmann, Terence Stamp, David Bamber.

"Voi non portaste il peso della vergogna.
Avete resistito
sacrificando la vostra vita
per la libertà, per il diritto e per l'onore".

Dal monumento alla resistenza tedesca, Berlino



La lapide in ricordo dei cospiratori, unico caso di commemorazione
di soldati tedeschi. E' sita nel palazzo del Bendlerblock.
Storia e azione, nella rilettura del più celebre attentato interno ad Adolf Hitler.
Tunisia, 1943. Il colonnello Claus Von Stauffenberg (Tom Cruise) è impegnato nella campagna militare in Africa con la 10a Divisione Panzer. Nei suoi scritti denuncia tutta la sua preoccupazione per la situazione militare e per la piega tragica e disonorevole che la guerra ha preso.
Nel corso di un attacco alleato, viene gravemente ferito e rientra in Germania minato nel fisico, ma non nello spirito. Si unisce alla Resistenza ed entra a far parte dell'operazione Valchiria, un piano militare strategico che prevede la mobilitazione delle truppe della riserva in caso di rivolta popolare: il suo scopo originale era pertanto quello di proteggere il regime nel caso in cui Hitler venisse spodestato o ucciso.
Primo obiettivo dei cospiratori: riscrivere il piano, con l'inconsapevole benestare di Hitler, in modo da farlo scattare a seguito di un colpo di stato fatto figurare come organizzato dalle SS, il corpo speciale posto a protezione di Hitler. Ma la riuscita del piano presuppone la morte di Hitler per scatenare il voluto effetto domino senza rischi che venga interrotto: quindi il secondo obiettivo dei cospiratori sarà UCCIDERE HITLER.
Il primo obiettivo viene raggiunto dopo una drammatica "trasferta" di Stauffenberg al Berghof, residenza privata di Hitler nelle alpi bavaresi. In un crescendo di tensione, Stauffenberg riesce ad avvicinare Hitler e fargli firmare la copia corretta di "Valchiria".
Ma il secondo obiettivo si rivelerà ben più difficile da raggiungere.
Attraverso Stauffenberg, si scopre un'umanità nella Germania di Hitler molto raramente rappresentata in opere cinematografiche. Philipp Von Shulthess, nipote del colonnello Von Stauffenberg, riconoscerà in un intervista che il nonno era un ufficiale della Wehrmacht contrario a diversi modus operandi nazisti; tuttavia era un soldato e ciò aveva un valore per lui: significava servire il suo Paese e, in ultimo, semplicemente salvare delle vite.
Il film è stato oggetto di svariate polemiche: dalla partecipazione di Cruise non vista di buon occhio in quanto membro di Scientology (organizzazione avversa in Germania) alla trama ritenuta debole e alla ricostruzione storica fatta alla meno peggio. Non siamo d'accordo: eliminando ogni pregiudizio sull'appartenenza di Cruise alla controversa organizzazione, che francamente non vediamo cosa c'entri con il film, troviamo invece che Cruise sia eccezionale nell'interpretazione, e che restituisca a Stauffenberg (oltre all'indiscutibile somiglianza fisica) tutto il carisma che lo caratterizzava e la sua crescente tensione che ha accompagnato questa "missione impossibile". Per quanto riguarda la ricostruzione storica, se si confrontano i fatti esposti con uno qualsiasi dei tanti documentari che nel passato hanno ricostruito la storia dell'attentato del 20 Luglio 1944, non vediamo davvero nessuna distorsione negli episodi-chiave né spazio per particolari sensazionalismi. Forse è dato poco risalto alla Germania bombardata e alle macerie, al contrario sembra di notare solo le architetture lineari e un po' megalomani proprie del III Reich; tuttavia splendida la panoramica del Berghof nella parte centrale del film. Notevole anche la scena dell'attacco iniziale alleato in Africa e la dotazione dei modelli aerei fedeli a quelli dell'epoca: veri caccia risalenti alla II guerra mondiale come il Messerschmitt 109 e lo Junker.
Tutti gli interpreti sono credibili e ben calibrati nei ruoli: un plauso particolare a Carice Von Houten, straordinariamente forte nella sua interpretazione nonostante brevi dialoghi, e al britannico David Bamber interpretante Adolf Hitler e bravo a impersonare il carisma cupo del dittatore tedesco.

domenica 8 febbraio 2015

Platoon (1986) - di Oliver Stone con Charlie Sheen, Willem Dafoe, Tom Berenger, Johnny Depp, Kevin Dillon

Il regista Oliver Stone assieme ai protagonisti di Platoon,
Charlie Sheen, Willem Dafoe e Tom Berenger,
al Festival di Cannes - 2006.
La prima puntata della trilogia dell'ex volontario Oliver Stone sul Vietnam.
Arruolato anche egli nella compagnia di fanteria Bravo che viene raccontata nel film, tornò dalla guerra decorato con un Cuore Porpora e una Star di Bronzo, ma soprattutto tornò assolutamente determinato a fare un film che raccontasse al mondo la sua storia.

Malgrado ciò, Stone dovette aspettare otto anni prima di scriverne la sceneggiatura. "Prima non ce l'avrei fatta: non avevo sufficiente distacco" spiegò. Ci vollero poi altri 10 anni per convincere gli studi cinematografici a finanziare un film su un capitolo così difficile e controverso nella storia americana.
Arnold Kopelson, il produttore, si entusiasmò al copione e non potè fare a meno di notare che, all'inizio degli anni '80, i suoi figli adolescenti confermavano che la guerra in Vietnam era l'argomento all'ordine del giorno nelle scuole: in altre parole, l'America era pronta ad analizzare e fare i conti con il proprio passato.

Cast e troupe giunsero nelle Filippine poco dopo la fuga del presidente Ferdinando Marcos e con una situazione di tensione per lo spostamento di potere e il cambio di regime. Iniziarono quindi due settimane di durissimi addestramenti per gli attori: per imparare come agire e comportarsi da "grunts". Con la preziosa assistenza di Dale Dye, un ex capitano dei marine, gli attori furono completamente sommersi nella vita di fanteria e nel modo di parlare, pensare e muoversi.

Charlie Sheen, figlio d'arte del padre Martin protagonista di Apocalypse Now, ammise che quelle furono le due settimane più lunghe della sua vita. Proprio come dei veri soldati, l'intero cast dovette superare notti pressoché insonni, in continuo stato di allerta, senza dormire mai per oltre due ore consecutive e venendo svegliati da vere esplosioni studiate per minare i nervi. Cibandosi solo di razioni confezionate, impossibilitati anche a lavarsi, arrivarono alla fine delle pellicole prostrati fisicamente e mentalmente. Questo permise agli stessi reduci che avevano visto Platoon di riconoscersi nel film.

Chris Taylor (Charlie Sheen) è un giovane americano che ha abbandonato il college e la famiglia per arruolarsi volontario per il Vietnam, trovando ingiusto che debbano essere sempre i ragazzi poveri e che vivono ai margini  a dover essere chiamati in prima linea e sacrificarsi. Questo lo avvicina maggiormente ai commilitoni che auspicano la fine della follia della guerra e il rientro a casa, capeggiati dal sergente antimilitarista Elias (Willem Dafoe), e lo fa sentire invece distante da coloro che vivono la violenza come prassi quotidiana e odiano il nemico arrogandosi il diritto di compiere qualsiasi sopruso indottrinati dallo spietato sergente maggiore Barnes (Tom Berenger).

L'esercito americano si troverà a combattere una battaglia estremamente difficile in un territorio pieno di insidie, contro un nemico spesso invisibile e che si muove con grande familiarità in un ambiente a lui congeniale. Le vittime innocenti sono i civili e i contadini, che gli americani faticano a distinguere dai soldati dell'esercito vietnamita. Il barbaro assalto al villaggio, che si ispira ad un episodio di guerra realmente accaduto, materializza tutto il cieco furore e la crudeltà. Il sergente maggiore Barnes è l'espressione massima di questo fanatismo: le cicatrici e le ferite del suo viso lasciano appena indovinare le ben più profonde ferite nell'animo. La corsa disperata del sergente Elias braccato dai Vietcong, voce della coscienza dell'intero plotone, che nell'ultimo momento protende le braccia al cielo come per aggrapparsi all'eternità e al luogo dove regna la pace, è impressa nell'immaginario collettivo. Un icona.

L'ingenuo soldato catapultato nella giungla vietnamita, passando attraverso amarissime esperienze e sconvolto dalla follia della guerra, sopravviverà e, toccato nel profondo, esprimerà questo stato d'animo al momento del rientro a casa con queste parole:

"io ora credo, guardandomi indietro, che non abbiamo combattuto contro il nemico... abbiamo combattuto contro noi stessi...e il nemico era dentro di noi. Per me adesso la guerra è finita, ma sino alla fine dei miei giorni resterà sempre con me. Come sono sicuro che ci resterà Elias, che si è battuto contro Barnes per quello che Rhah ha chiamato: il possesso della mia anima. Qualche volta mi sono sentito come il figlio di quei due padri. Ma sia quel che sia... quelli che tra noi l'hanno scampata, hanno l'obbligo di ricominciare a costruire. Insegnare agli altri ciò che sappiamo e tentare con quel che rimane delle nostre vite di cercare la bontà e un significato in questa esistenza...".



domenica 1 febbraio 2015

La sottile linea rossa (1998) - di Terrence Malick con Sean Penn, Jim Caviezel, Nick Nolte, Adrien Brody, Ben Chaplin, John Cusack, Woody Harrelson, Elias Koteas, John C.Reilly, John Travolta, John Savage, Jared Leto.

"Tra la lucidità e la follia c'è solo una sottile linea rossa"
(Rudyard Kipling)

La natura splendida e selvaggia melanesiana,
sfondo delle vicende del film.
Il maestro maudit Terrence Malick, incluso-escluso del cinema Hollywoodiano, realizza nel 1998 (e a distanza di 20 anni dal suo precedente film) questo affresco filosofico sulla battaglia di Guadalcanal nella II Guerra Mondiale.

La riservatezza e l'ostinato isolamento dalla vita pubblica sembrano essere i motivi principali della fama di questo regista: in realtà sono bastati pochi titoli e uno straordinario carisma a fare si che egli si ritagliasse una fetta di mito nel panorama del cinema americano contemporaneo.

Per il suo ritorno con "La sottile linea rossa" le più grandi stelle attoriali si sono letteralmente messe in fila per avere una parte, sia pure anche di contorno. Pur di esserci. Questo ha permesso di dare luce anche a parti marginali che, data la scarna caratterizzazione dei personaggi, non avrebbero potuto risplendere qualora affidate ad attori sconosciuti ai più.

Non lo si può definire un film di guerra. Troppo diverso da un film di guerra: solo "Apocalypse Now" può in qualche modo avvicinarsi al tipo di trattazione. Forse non è nemmeno un film nel senso stretto del termine: è un'opera d'arte, e come tale deve essere guardata. Come se si guardasse un quadro. Come un film di Kubrik.

La guerra è un brusio indistinto su cui poggiano la pesantezza delle vite dei militari: i loro pensieri, le loro speranze, le loro follie. La natura, bellissima e affascinante, sembra essere spettatrice inconsapevole ed estranea ai faticosi travagli degli uomini. La fotografia di John Toll, gli spazi aperti, i suoni impercettibili e le voci fuori campo avvolgono lo spettatore in una indescrivibile sensazione a volte empatica e a volte quasi opprimente, con un pessimismo leopardiano unito ad un senso di spossatezza quasi fisica.

Ci sono alcuni elementi centrali.
Come i flashback del soldato Bell verso la moglie cui soffre la lontananza e la mancanza: il senso verrà svelato alla fine del film.
Come il braccio di ferro tra l'ambizioso colonnello Tall e il mite capitano Staros, che alla fine verrà rimosso e avvicendato dal tenente Band.
E, più forte di tutti, lo straordinario confronto tra l'indimenticabile e mistico soldato Witt e il cinico e disilluso sergente Welsh.

Witt aveva inizialmente disertato rifugiandosi tra gli indigeni melanesiani assieme ad un compagno, per poi ricongiungersi con la compagnia fucilieri "Charlie" verso la quale si sente legato e pronto al sacrificio. Il controverso rapporto tra soldato e sergente e la loro differente visione del mondo è simboleggiata dai loro dialoghi, tra i quali quello nel campo erboso dove sono faccia a faccia e sembrano scrutarsi con profonda curiosità e stima dietro le apparenze:


Welsh: mi dispiace per te, ragazzo....
Witt: si?
Welsh: si...è così...questo esercito ti ammazzerà....se tu fossi intelligente baderesti a te stesso, non c'è niente che tu possa fare per gli altri....è come correre verso una casa in fiamme dove nessuno si può salvare. Secondo te che differenza può fare un solo uomo in tutta questa pazzia? Se muori, sarà per niente....non esiste un altro mondo al di fuori dove tutto va meglio....c'è solo questo...solo questo grande sasso.

 O quello successivo nella capanna del villaggio indigeno:

Welsh: ehi, Witt....a chi crei guai oggi?
Witt: che intende dire?
Welsh: non è questo che ti piace fare? Voltare a sinistra quando ti dicono di andare a destra? Perché sei così piantagrane, Witt?.....
Witt: Lei ci tiene a me, vero sergente? Ho sempre avuto questa sensazione....perché vuole dare la sensazione di essere una roccia? Un giorno posso venire a parlare con lei e il giorno dopo è come se non ci fossimo mai conosciuti....
(Witt guarda la capanna e la gabbia vuota con la porta aperta) ....una casa solitaria.....lei non si sente solo?
Welsh: solo in mezzo alla gente
Witt: ...solo in mezzo alla gente.....
Welsh: vedi ancora quella bellissima luce, vero? Come fai a crederci.....tu sei un mago per me.
Witt: vedo ancora una scintilla in lei....



E' la lotta espressa da Malick tra lo scetticismo della ragione e le speranze del cuore: è il pessimismo realista contro l'ottimismo idealista. La scintilla che Witt vede nel suo superiore è l'espressione della speranza che può nascere dall'uomo che riconosce l'empatia e la bellezza: la voce fuori campo di Welsh alla fine del film ("Se non Ti incontrerò mai nella mia vita, che senta la Tua mancanza") testimonia come il sergente abbia interiorizzato e fatto proprio qualcosa della grande visione di Witt, che raggiungerà alla fine il mondo diverso che aveva visto con i suoi occhi nuotando felice assieme ai bambini melanesiani.